Il Consiglio di Stato amplia i poteri delle associazioni dei consumatori
Con sentenza 280/2005 il Consiglio di Stato ha ritenuto che le associazioni dei consumatori siano legittimate non solo ad effettuare segnalazioni in materia di pubblicità ingannevole all'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, ma anche, ove quest'ultima abbia deciso il non luogo a procedere, di impugnare dinanzi ai tribunali amministrativi le determinazioni dell'Autorità medesima.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N.280/2005
Reg.Dec.
N. 8861 Reg.Ric.
ANNO 1998
Disp.vo n. 563/2004
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello proposto dal XXXXXX, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Carlo Rienzi e Paolo Montaldo, ed elettivamente domiciliato presso XXXXX, in Roma, via xxxxxxxxxx;
contro
Autorità garante della concorrenza e del mercato, in persona del legale rappresentante pro tempore, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato e domiciliato presso la stessa in Roma via dei Portoghesi n. 12;
e nei confronti
XXX Italia s.p.a., non costituitasi in giudizio;
per l’annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione I, n. 1266/1998;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Autorità appellata;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Alla pubblica udienza del 17-12-2004 relatore il Consigliere Roberto Chieppa.
Uditi l'Avv. Rienzi e l'Avv. dello Stato Vessichelli;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
Con il ricorso in appello in epigrafe il ricorrente ha chiesto l’annullamento della sentenza n. 1266/98 con la quale il Tar del Lazio ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto avverso il provvedimento dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato del 29-2-96, con cui è stato ritenuto non ingannevole il messaggio pubblicitario riguardante la nuova autovettura “XXX Turbodiesel”, pubblicato sul Sole 24 Ore del 1 novembre 1995.
L’appello viene proposto per i seguenti motivi:
1) erroneità dell’impugnata sentenza nella parte in cui è stato ritenuto il difetto di legittimazione del Codacons ad agire avverso i provvedimenti di archiviazione dei procedimenti in materia di pubblicità ingannevole;
2) in subordine, contrasto dell’interpretazione accolta dal Tar con la normativa comunitaria e richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia;
3) nel merito, il messaggio pubblicitario della Volvo è stato erroneamente ritenuto non ingannevole dall’Autorità garante, peraltro in contrasto con il parere dell’Ufficio del garante per la radiodiffusione e l’editoria.
L’Autorità garante si è costituita in giudizio, chiedendo la reiezione dell’appello.
Acquisito il fascicolo di primo grado solo in data 27-7-2004 a seguito dell’ordinanza istruttoria di questa Sezione n. 3849/04 del 14-6-2004, all’odierna udienza la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1.1. Con l’impugnata sentenza il Tar ha dichiarato inammissibile, per carenza di legittimazione ad agire, il ricorso proposto dal Codacons avverso il provvedimento dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato del 29-2-96, con cui è stato ritenuto non ingannevole il messaggio pubblicitario riguardante la nuova autovettura “Volvo 850 Turbodiesel”, pubblicato sul Sole 24 Ore del 1 novembre 1995.
Il Codacons contesta tale statuizione, sostenendo di esser legittimato a proporre ricorso avverso i provvedimenti con cui l’Autorità garante archivia i procedimenti in materia di pubblicità ingannevole sulla base della ritenuta non ingannevolezza di un determinato messaggio.
1.2. La questione della legittimazione ad agire deve essere affrontata sotto due profili:
a) quello del riconoscimento della legittimazione a contestare l’esercizio del c.d. potere negativo dell’Autorità garante (di archiviare una determinata denuncia, di non vietare determinati comportamenti comunicati dalle imprese o le operazioni di concentrazione notificate);
b) quello della legittimazione ad agire da parte di una associazione di consumatori avverso detti provvedimenti.
Per quanto concerne il primo profilo, si deve tenere conto che si tratta di provvedimenti che non incidono in senso sfavorevole sulle imprese che hanno posto in essere il comportamento esaminato, che viene riconosciuto lecito, ma che possono incidere sulle posizioni di soggetti terzi, che assumono la veste di controinteressati rispetto al comportamento consentito.
Rispetto a tali soggetti si era formato un tradizionale orientamento giurisprudenziale, in cui va inserita l’impugnata sentenza, contrario al riconoscimento della legittimazione a ricorrere.
Tale orientamento si fonda sulla affermazione, secondo cui i ricorsi proposti da soggetti terzi avverso i provvedimenti adottati dall’Autorità antitrust, sono inammissibili, atteso che i poteri di cui alla l. n. 287/1990, e nel caso di specie di cui al D. Lgs. n. 74/1992, sono preordinati esclusivamente alla tutela oggettiva del diritto di iniziativa economica nell'ambito del libero mercato e non alla garanzia di posizioni, individuali o associate di soggetti fruitori del mercato.
A fronte dell'esplicazione dei detti poteri, tutti i soggetti diversi da quelli direttamente incisi (e menzionati nell’atto) sarebbero, quindi, da ritenere titolari di un mero interesse indifferenziato rispetto alla generalità dei cittadini a che le autorità preposte alla repressione dei comportamenti illeciti esercitino correttamente e tempestivamente i poteri loro conferiti a tale specifico fine. (V., fra tutte, Tar Lazio, sez. I, 1 agosto 1995, n. 174; T.A.R. Lazio, sez. I, 5 maggio 2003, n. 3861).
1.3. Questa Sezione ha già in passato ritenuto di non condividere detto orientamento, riconoscendo proprio in materia di pubblicità ingannevole la legittimazione in capo ad un’associazione di categoria a ricorrere avverso un provvedimento di archiviazione di un procedimento (Consiglio Stato, sez. VI, 1 marzo 2002, n. 1258).
Di recente, è stata anche riconosciuta la legittimazione ad agire in capo ad una impresa concorrente avverso un provvedimento di autorizzazione in deroga rilasciata dall’Autorità antitrust (Cons. Stato, 14 giugno 2004 n. 3865, caso Motorola).
Con tale sentenza, questa Sezione ha ricondotto la questione della legittimazione ad agire avverso i provvedimenti “assolutori” dell’Autorità garante nell’ambito dei principi in tema di condizioni dell’azione e di requisiti necessari per individuare una situazione di interesse legittimo, qual’è la posizione di colui il quale si contrappone all’esercizio del potere dell’amministrazione, essendo titolare di una posizione giuridica sostanziale lesa ad opera del potere amministrativo, sempre che la lesione abbia i caratteri della personalità, dell’attualità e della concretezza.
I criteri utilizzati in tale verifica sono quelli della differenziazione e della qualificazione: in quel caso è stato ritenuto che le imprese concorrenti (nel medesimo settore economico) non si trovano sullo stesso piano degli altri appartenenti alla collettività.. Esse vantano invece un interesse personale e individuale al rispetto della normativa antitrust, in quanto dalle determinazioni dell’Autorità, dirette ad altri, può derivare uno svantaggio (in presenza di deliberazioni di natura autorizzatoria, come nel caso Motorola) - o un vantaggio (come nel caso di provvedimenti inibitori e sanzionatori) - chiaramente riferibile alla loro sfera individuale.
Pertanto, la circostanza che l’Autorità sia tenuta a perseguire l’interesse pubblico alla tutela oggettiva del diritto di iniziativa economica non è in grado di escludere che anche soggetti terzi a quelli immediatamente lesi dai provvedimenti finali possano vantare interessi, pretesivi o oppositivi, suscettibili di ricevere protezione giuridica.
Ciò non significa riconoscere indistintamente tale legittimazione a ricorrere.
Certamente il denunziante, in quanto tale, non è titolare di un interesse qualificato ad un corretto esame della sua denuncia, ma lo diventa solo quando dimostra di essere portatore di un interesse particolare e differenziato, che assume essere stato leso dalla mancata adozione del provvedimento repressivo.
La legittimazione deriva allora non dalla qualità di denunciante, ma da quella di controinteressato
1.4. Il recente orientamento del Consiglio di Stato si pone in linea con la giurisprudenza comunitaria, che da tempo ha riconosciuto la legittimazione di soggetti terzi ad impugnare i c.d. provvedimenti assolutori della Commissione sia con riguardo ai provvedimenti di archiviazione (Corte Giust., 25 ottobre 1977, C-26/76, Metro SB\Commissione, punto 13; 11 ottobre 1983, causa 210/81, Demo-Studio Schmidt/Commissione, punti 14 e 15; 28 marzo 1985, causa 298/83, CICCE/Commissione, punto 18 e 17 novembre 1987, BAT e Reynolds, cause riunite 142/84 e 156/84, pag. 4487, punto 12; sentenza del Tribunale - Quarta Sezione, 17 febbraio 2000, T-241/97, Stork Amsterdam BV, punto 53), sia in relazione ai provvedimenti di autorizzazione di operazioni di concentrazione (Corte di Giustizia del 31 marzo 1998, cause riunite C - 68\94 e C - 30\95; Tribunale - Terza Sezione, 30 settembre 2003, causa T-158/00, ARD).
1.5. Tali principi devono essere applicati anche in materia di pubblicità ingannevole.
Così come l’interesse delle imprese terze rispetto a un intervento repressivo di un’intesa restrittiva della libertà di concorrenza è oggetto di valutazione positiva da parte dell’ordinamento (Cons. Stato, VI, n. 3865/2004), allo stesso modo tale valutazione positiva riguarda l’interesse del consumatore a non essere “ingannato” da messaggi pubblicitari.
Nel citato precedente (Cons. Stato, VI, n. 1258/2002), la Sezione aveva ritenuto la legittimazione a ricorrere avverso un provvedimento con cui un messaggio pubblicitario era stato ritenuto non ingannevole, ad un’associazione di categoria di imprese, osservando che la disciplina sulla pubblicità ingannevole mira alla tutela di interessi compositi, costituiti non solo dalla corretta informazione del consumatore, ma anche dal rispetto delle regole di libera e corretta concorrenza tra le imprese (la pubblicità ingannevole può incidere sulle scelte del consumatore e determinare distorsioni della concorrenza).
Una siffatta posizione differenziata, indice della legittimazione ad agire, non può essere negata alle associazioni dei consumatori.
Si ricorda che l’art. 7 del D. Lgs. n. 74/92 disciplina l’intervento dell’Autorità garante per inibire gli atti di pubblicità ingannevole su richiesta, tra gli altri, di concorrenti, consumatori e loro associazioni (comma 2), prevedendo espressamente l’applicabilità dell’art. 3 della legge n. 281/98 per la tutela degli interessi collettivi dei consumatori (comma 14).
Tale art. 3 prevede in modo generalizzato che le associazioni dei consumatori e degli utenti inserite nell'elenco di cui all'articolo 5 della stessa legge siano legittimate ad agire a tutela degli interessi collettivi e a difesa degli interessi dei consumatori e degli utenti.
Si deve infine tenere presente che il D. Lgs. n. 74/92 è stato emanato in attuazione della direttiva 84/450/CEE, come modificata dalla direttiva 97/55/CE in materia di pubblicità ingannevole e comparativa.
L’art. 4 di tale direttiva prevede che gli Stati membri introducano mezzi adeguati ed efficaci per combattere la pubblicità ingannevole e garantire l'osservanza delle disposizioni in materia di pubblicità comparativa nell'interesse sia dei consumatori che dei concorrenti e del pubblico in generale (comma 1), lasciando agli Stati la possibilità di attribuire poteri di intervento ad autorità giudiziarie o amministrative (comma 2).
Il legislatore italiano ha attribuito le competenze previste dall’art. 4 della Direttiva all’Autorità garante della concorrenza e del mercato, facendo salva la giurisdizione del giudice ordinario solo per gli atti di concorrenza sleale e per gli atti compiuti in violazione della disciplina sul diritto d'autore.
In questo caso (affidamento delle predette competenze ad una autorità amministrativa), l’ultima parte del comma 3 dell’art. 4 della Direttiva comunitaria prevede che devono essere previste procedure in base alle quali l'esercizio improprio o ingiustificato dei poteri dell'autorità amministrativa e le omissioni improprie o ingiustificate nell'esercizio dei poteri stessi possano essere oggetto di ricorso giurisdizionale.
In base alla direttiva, quindi, il ricorso giurisdizionale deve riguardare anche “le omissioni” dell’Autorità e, quindi, anche il mancato intervento per reprimere un messaggio pubblicitario ingannevole.
Dalla lettura combinata delle disposizioni interne e di quelle comunitarie emerge chiaramente come il ruolo delle associazioni dei consumatori non possa essere limitato alla presentazione di una richiesta all’Autorità amministrativa, ma si estenda anche alla possibilità di contestare in giudizio il mancato intervento dell’Autorità.
Una diversa interpretazione condurrebbe, sotto il profilo interno, a non rendere effettiva la tutela giurisdizionale dei consumatori e delle relative associazioni rappresentative e, sul fronte comunitario, ad un contrasto con le menzionate disposizioni della direttiva n. 450/84 del Consiglio.
Si deve quindi ritenere che le associazioni dei consumatori siano legittimate, a tutela degli interessi dei consumatori che rappresentano, a contestare in giudizio il provvedimento con cui l’Autorità garante ritiene non ingannevole un determinato messaggio pubblicitario
2.1. Accertata la legittimazione ad agire del ricorrente Codacons, deve ora essere affrontato il merito del ricorso.
Al riguardo, è necessaria una premessa circa l’intensità del sindacato giurisdizionale sui provvedimenti dell’Autorità antitrust al solo fine di ricordare gli ultimi orientamenti della Sezione sul punto.
E’ stato ormai chiarito che:
- i fatti posti a fondamento dei provvedimenti dell’Autorità antitrust possono senza dubbio essere pienamente verificati dal giudice amministrativo sotto il profilo della verità degli stessi; ciò presuppone la valutazione degli elementi di prova raccolti dall’Autorità e delle prove a difesa offerte dalle parti senza che l’accesso al fatto del giudice possa subire alcuna limitazione;
- con riferimento alla attività discrezionale di carattere tecnico, anche quando riferita ai c.d. “concetti giuridici indeterminati”, la tutela giurisdizionale, per essere effettiva, non può limitarsi ad un sindacato meramente estrinseco, ma deve consentire al giudice un controllo intrinseco, avvalendosi eventualmente anche di regole e conoscenze tecniche appartenenti alla medesima scienza specialistica applicata dall’amministrazione (Cons. Stato, VI, n. 2199/2002 Rc Auto; n. 5156/2002 Enel/Infostrada);
- il sindacato del G.A. è quindi pieno e particolarmente penetrante e si estende sino al controllo dell'analisi (economica o di altro tipo) compiuta dall'Autorità, potendo sia rivalutare le scelte tecniche compiute da questa, sia applicare la corretta interpretazione dei concetti giuridici indeterminati alla fattispecie concreta in esame (Cons. Stato, VI, n. 926/2004, Buoni pasto Consip).
In particolare, con tale ultima decisione la Sezione ha inteso superare la terminologia, utilizzata in precedenza, “sindacato forte o debole”, per porre l’attenzione unicamente sulla ricerca di “un sindacato tendente ad un modello comune a livello comunitario, in cui il principio di effettività della tutela giurisdizionale sia coniugato con la specificità di controversie, in cui è attribuito al giudice il compito non di esercitare un potere in materia antitrust, ma di verificare – senza alcuna limitazione - se il potere a tal fine attribuito all’Autorità antitrust sia stato correttamente esercitato”.
Tale ultimo orientamento esclude limiti alla tutela giurisdizionale dei soggetti coinvolti dall’attività dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, individuando quale unica preclusione l’impossibilità per il giudice di esercitare direttamente il potere rimesso dal legislatore all’Autorità.
2.2. Ciò premesso, si può ora passare all’esame delle censure proposte dal Codacons avverso l’impugnato provvedimento.
In fatto, si rileva che il messaggio in questione venne pubblicato su due intere facciate del quotidiano 'Il Sole-24 Ore', in cui accanto alla fotografia di un'autovettura Volvo 850 Turbodiesel è stata riportata con caratteri cubitali la scritta 'Tocca duecentotre Km/h'.
Al lato del messaggio, sotto la scritta 'Nuova Xxx 850 Turbodiesel', sono riportate le seguenti affermazioni 'C'è modo e modo di raggiungere i 203 Km/h. Ci si può mettere un lampo o una vita ... Quella della nuova Volvo 850 Turbodiesel è velocità ad alta qualità ... Ai primi 100 Km/h ci si arriva in 9.9 secondi, nell'assoluta sicurezza che offrono ... il panorama accelera, con i margini della strada che si sfuocano e l'orizzonte che si avvicina veloce ... La lancetta del tachimetro, invece, schizza in avanti'.
Con il provvedimento impugnato l’Autorità pur ritenendo criticabile l'eccessiva enfasi posta sulle doti velocistiche dell'autovettura, ha ritenuto che il messaggio non fosse ingannevole, né violasse l’art. 5 del D. Lgs. n. 74/92, in quanto la pericolosità dell'autovettura in determinate condizioni di impiego (alta velocità) risulterebbe ben nota al consumatore alla luce delle indicazioni fornite in proposito dall'ordinamento giuridico, con particolare riferimento alle precise regole del codice della strada che impongono l'osservanza di limiti di velocità, nonché l'adozione di specifiche cautele da parte del guidatore.
Nel ritenere il messaggio non ingannevole è stato comunque dato atto che l'operatore pubblicitario aveva ritirato il messaggio in questione, dichiarando di voler evitare future diffusioni dello stesso.
2.3. Il ricorso con cui il Codacons contesta tale giudizio è fondato.
Si deve tenere presente che l’art. 5 del D. Lgs. n. 74/1992 considera “ingannevole la pubblicità che, riguardando prodotti suscettibili di porre in pericolo la salute e la sicurezza dei consumatori, ometta di darne notizia in modo da indurre i consumatori a trascurare le normali regole di prudenza e vigilanza”.
Proprio in base a tale disposizione il Garante per la Radiodiffusione e l'Editoria aveva ritenuto l’ingannevolezza del messaggio pubblicitario in questione, in quanto “evoca situazioni ed immagini suscettibili di stimolare comportamenti imitativi e di indurre a trascurare le normali regole di prudenza, spingendo il consumatore a credere nella normalità dell'uso della vettura alla massima velocità”.
Le argomentazioni dell’Autorità antitrust non sono idonee a superare detto parere, in quanto, come correttamente evidenziato dal Garante per l’editoria, il messaggio si basa unicamente sull’esaltazione della velocità massima di ben 203 km/h, che costituisce sicuramente un elemento in grado di “porre in pericolo la salute e la sicurezza dei consumatori” e nel messaggio viene omesso del tutto di “darne notizia in modo da indurre i consumatori a trascurare le normali regole di prudenza e vigilanza”.
La fattispecie di cui al citato art. 5 del D. Lgs. n. 74/92 è pienamente integrata e per ritenere la correttezza del messaggio non è sufficiente il fatto che il consumatore, come evidenziato dall’Autorità, sarebbe a conoscenza delle regole del codice della strada che impongono l'osservanza di limiti di velocità.
Il citato art. 5 richiede che nel messaggio venga data notizia della pericolosità del prodotto, quanto meno nella forma pubblicizzata (velocità di 203 km/h raggiungibile in pochi secondi) e non che il consumatore possa comprendere altrove che il prodotto è pericoloso.
Di conseguenza, l’Autorità antitrust ha sbagliato nel discostarsi dal parere del Garante per l’editoria e il descritto messaggio deve ritenersi ingannevole ai sensi dell’art. 5 del D. Lgs. n. 74/92.
Tenuto conto dell’immediato ritiro del messaggio e del tempo trascorso dai fatti, valuterà l’Autorità se vi è necessità di adottare ulteriori provvedimenti ai sensi dell’art. 7, comma 6, del D. Lgs. n. 74/92 o se il procedimento possa ritenersi concluso all’esito della presente decisione, da cui deriva la conferma del giudizio di ingannevolezza espresso in sede di parere dal Garante per l’editoria e il conseguente implicito divieto di riproporre il messaggio.
3. In conclusione, l’appello deve essere accolto con conseguente annullamento dell'atto impugnato, in riforma della sentenza di primo grado.
Ricorrono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, accoglie il ricorso in appello indicato in epigrafe e per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, annulla il provvedimento impugnato.
Compensa tra le parti le spese del giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, il 17-12-2004 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Sez.VI -, riunito in Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori:
Lanfranco BALUCANI Presidente f.f.
Rosanna DE NICTOLIS Consigliere
Guido SALEMI Consigliere
Francesco CARINGELLA Consigliere
Roberto CHIEPPA Consigliere Est.