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- Cassazione 2004: l'Ordine Professionale non è impresa

Ordine professionale non è un'impresa e non può partecipare alle gare pubbliche

Consiglio di Stato - Sezione quarta - Decisione 16 marzo 2004, n. 1344

Gli Ordini professionali non possono essere considerati imprese in quanto non possono intendersi imprenditori che esercitano una attività economica organizzata al fine della produzione e scambio di beni e servizi.

Essi perciò non possono partecipare a gare pubbliche, in quanto ciò concretizzerebbe proprio quella attività imprenditoriale da ritenersi loro preclusa per i compiti istituzionali a cui sono chiamati, sia per i conseguenti effetti distorsivi che l’esercizio di una tale attività economica provocherebbe sul regime concorrenziale.

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Fatto

Con la sentenza indicata in epigrafe è stato respinto il ricorso proposto dai Collegi Geometri delle Province di Torino, Firenze, Brescia, Padova, Parma e Roma, volto ad ottenere l’annullamento dell’atto di esclusione degli stessi, assunto in fase di prequalifica, dalla gara di appalto a licitazione privata per il servizio di rilievo e censimento tecnico ed amministrativo dei beni immobiliari demaniali e patrimoniali dello Stato amministrati dell’Agenzia per il Demanio di cui al bando pubblicato sulla Guce n. 138 del 18 luglio 2002- Guri n. 168 del 19 luglio 2002.

Tale esclusione è stata adottata dalla suddetta Commissione con la seguente motivazione: «Il Collegio dei Geometri non può essere considerato impresa in quanto non può intendersi imprenditore che esercita una attività economica organizzata al fine della produzione e scambio di beni e servizi. A tale Organo infatti sono affidate (Rd 274/29) esclusivamente la tenuta dell’albo e l’esercizio del potere disciplinare degli iscritti. Il Collegio inoltre non ha una rappresentanza negoziale dei suoi iscritti non essendo abilitato ad esprimere la volontà degli iscritti ed in grado di obbligarsi in nome e per conto degli stessi».

Gli odierni appellanti deducevano in primo grado, con tre articolati motivi, la violazione dei D.Lgs 157/95, 62/2000 e succ.ve modificazioni, delle direttive 92/50/Cee e 98/4/Cee, della legge 109/94, degli articoli 2082 e ss. Cc, degli articoli 85 ed 86 del Trattato di Roma istitutivo della Comunità economica europea, dell’articolo 3, 41 e 97 Costituzione, del Rd 274/29 e del D.Lgs 382/44; eccesso di potere sotto vari profili.

Il Tar ha ritenuto che il Collegio dei Geometri, in quanto «soggetto tenuto alla gestione di un albo professionale, in tali ristretti limiti funzionalmente organizzato, non può considerarsi tout court idoneo alla prestazione di un servizio come quello oggetto della gara» (pag. 8 sentenza) e che lo stesso «di norma, non ha alcuna rappresentanza in materia di partecipazione a gare, rimanendo allo stesso estranea l’area degli interessi individuali degli appartenenti al gruppo» (pag. 9 sentenza).

Avverso l’anzidetta decisione i Collegi Geometri delle Province di Torino, Firenze, Brescia, Padova, Parma e Roma hanno proposto appello, sostenendone l’erroneità e riproponendo in sostanza i motivi di impugnativa dedotti in prime cure.

Il ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia del Demanio si sono costituiti in giudizio, chiedendo, con puntuali deduzioni svolte in memoria, il rigetto del gravame.

Alla pubblica udienza del 2 dicembre 2003 la causa veniva trattenuta in decisione.


Diritto


1. Con la sentenza appellata è stato ritenuto il difetto di capacita e legittimazione dei Collegi Geometri di varie province a partecipare ad una gara d’appalto per la esecuzione del servizio di rilievo e censimento tecnico ed amministrativo dei beni immobiliari demaniali e patrimoniali dello Stato amministrati dall’Agenzia delle Entrate comprendente l’attività di project management, l’attività di recupero della documentazione e delle certificazioni presso gli enti preposti, l’attività di indagine sul campo e conseguente rilievo architettonico e/o impiantistico, l’attività di inserimento dei dati raccolti nonché delle relative elaborazioni grafiche in una base dati relazionale la cui struttura sarebbe stata fornita dall’Amministrazione; gara, questa, cui i Collegi medesimi avevano chiesto di partecipare, presentando ciascuno l’offerta economica per uno dei nove lotti in cui la stessa era distinta.

I Collegi appellanti ritengono erronea tale decisione, facendo leva, in buona sostanza, sul carattere estensivo della nozione di impresa in sede comunitaria, nonché sulla caratterizzazione degli ordini e collegi professionali quali enti che sono istituzionalmente preordinati a curare gli interessi giuridici ed economici delle categorie che rispettivamente rappresentano.

2. Al riguardo la Sezione sottolinea anzitutto che il Collegio dei Geometri è pacificamente un ente pubblico associativo, esponenziale di una categoria di professionisti, che svolge una attività di carattere pubblicistico ed opera con strumenti pubblici, sotto l’alta vigilanza del ministero della Giustizia; ad esso la legge affida, appunto, la rappresentanza della categoria (nell’ambito della rispettiva circoscrizione territoriale) e numerose attribuzioni:

curare “la tenuta dell’albo”, provvedendo alle iscrizioni ed alle cancellazioni secondo le prescrizioni di legge (articolo 3, comma 1, del Rd 274/29 “Regolamento per la professione di geometra”);

provvedere alla “disciplina degli iscritti” (ibidem);

curare che siano repressi l’uso abusivo del titolo di geometra e l’esercizio abusivo della professione, presentando, ove occorra, denuncia al procuratore della Repubblica (articolo 26, comma 1, lettera a), dello stesso Rd);

«compilare ogni triennio la tariffa professionale», che sarà poi approvata dal ministro della Giustizia, di concerto col ministro per i Lavori pubblici (articolo 26, comma 1, lettera b), dello stesso Rd);

determinare ed esigere il contributo annuale da corrispondersi da ogni iscritto «per quanto si attiene alle spese occorrenti per la tenuta dell’albo e la disciplina degli iscritti» (articolo 26, comma 1, lettera c), primo periodo, dello stesso Rd);

curare altresì “la ripartizione e l’esazione del contributo”, che la Commissione centrale, costituita nel modo indicato dall’articolo 15, stabilirà per le spese del suo funzionamento, giusta l’articolo 18 del regolamento, approvato con Rd 2537/25” (articolo 26, comma 1, lettera c), secondo periodo, dello stesso Rd; ma vedasi in proposito anche l’articolo 7 del D.Lgs luogotenenziale 382/44 «Norme sui Consigli degli ordini e Collegi e sulle Commissioni interne professionali»).

Ordunque, se è ben vero che impresa è qualsiasi entità che esercita un’attività economica, a prescindere dal proprio “status” giuridico e dalle sue modalità di finanziamento e che ; un’attività economica è costituita da qualsiasi attività consistente nell’offrire beni o servizi su un determinato mercato, contro retribuzione e con assunzione dei rischi finanziarii connessi (Corte giustizia Ce, Sezione quinta, 35/1998), è altrettanto vero fondato il rilievo che gli ordini professionali, come del resto tutti gli enti pubblici, possono agire solo nell’ambito dei poteri loro conferiti dalla legge e che non è invero rinvenibile alcuna espressa previsione normativa, che legittimi l’Ordine professionale (nella fattispecie il Collegio dei Geometri) ad esercitare un’attività economica, quale quella cui aspirano gli odierni appellati con la partecipazione alla gara de qua.

Una tale attività non è infatti, con tutta evidenza, coessenziale alle attribuzioni innanzi indicate e non è dunque funzionale al concreto espletamento dei compiti ed alla realizzazione dei fini istituzionali dell’ente stesso.

Per vero, ove si aderisse alla pretesa di partecipazione alla gara de qua, di cui qui si discute, ne risulterebbe travisata e sconvolta la funzione e l’esistenza stessa degli ordini professionali, che transiterebbero dalle funzioni di protezione delle professioni (esclusivamente loro devolute dal legislatore) a quelle di soggetti economici esercitanti, per il tramite dei loro iscritti, la professione medesima, secondo modalità e forme peraltro ignote al nostro ordinamento, tali da configurare, come esattamente rileva la difesa erariale, una «associazione permanente di imprese: ossia una figura nuova e diversa rispetto ai consorzi (che costituiscono la forma esistente e regolamentata di raggruppamento stabile di imprese) e che abbisognerebbe di regolamentazioni e pertanto sottratta alla possibile valutazione della Commissione di gara» (pag. 12 mem. in data 11 novembre 2003).

Queste osservazioni preliminari gia impediscono, come si vede, di condividere la tesi, sostenuta dai Collegi appellanti, della loro legittimazione a rendersi aggiudicatarii in pubbliche gare, in quanto ciò sfocierebbe proprio in quella attività imprenditoriale, da ritenersi loro preclusa sia in connessione con i compiti istituzionali ad essi affidati (che trovano la loro fonte esclusivamente nelle attribuzioni che la legge conferisce ai colleghi medesimi con il solo fine di dare effettività alla “protezione” legale della professione), sia in ragione dei conseguenti ed inevitabili effetti distorsivi, che un tale esercizio di attività economica provocherebbe sul regime concorrenziale.

La mancata previsione, da parte del legislatore, della possibilità di esercizio di attività economica da parte degli ordini (esercizio, si badi, che verrebbe a sovrapporsi alla stessa attività esercitata dagli iscritti), seppur risalente nel tempo, rappresenta infatti l’adozione di un criterio di scelta, che costituisce espressione di principii oggi pacificamente accolti dall’ordinamento.

Tra questi è certamente da annoverare il principio della libera concorrenza enunciato dagli articoli 81 e 82 del Trattato dell’Unione europea, il quale, secondo la pluridecennale giurisprudenza della Corte di Giustizia e dei giudici nazionali regola il libero svolgimento delle attività economiche, e quindi la produzione dei beni e dei servizi. L’ordinamento italiano ha dato attuazione a tali principii con la legge 287/90, secondo una disciplina dalla quale, mediante la previsione di divieti di intese e di abusi, emerge palesemente come il prezzo del prodotto offerto rappresenti lo strumento essenziale della corretta competizione concorrenziale.

La giurisprudenza amministrativa ha anche affermato che gli esercenti delle professioni intellettuali sono da considerare imprese ai fini specifici della tutela della libera concorrenza in quanto la loro attività consiste nell’offerta sul mercato di prestazioni suscettibili di valutazione economica e di acquisto delle stesse dietro corrispettivo, riconoscendosi conseguentemente il potere dell’Autorità Garante del settore di sottoporre ad indagine le condotte delle diverse categorie di professionisti, unitariamente considerate (v. Tar Lazio, Roma, Sezione prima, 466/00).

In tale contesto ordinamentale, la discesa “in campo” degli ordini, non “autorizzata” dal legislatore, realizzerebbe allora, con tutta evidenza, una palese lesione dei principii che régolano la disciplina sulla concorrenza, che mirano, com’è noto, a tutelare il mercato da intese, pratiche concordate ed abusi di posizione dominante: tutti casi, questi, in cui la concorrenza non viene semplicemente falsata, bensì eliminata del tutto.

Inoltre, vertendosi qui (com’è incontestato) in materia di appalti pubblici di servizii di rilevanza comunitaria, valga notare che la Dir. 92/50/Cee, pur riaffermando, al quinto “considerando”, la necessita di «evitare intralci alla libera circolazione dei servizi», prevede che «la presente direttiva non pregiudica l’applicazione, a livello nazionale, delle norme relative all’esercizio di un’attività o di una professione purché esse siano compatibili con il diritto comunitario».

Se ne evince, coordinando tale disposizione con quella di cui all’articolo 1, lettera c), della stessa direttiva (che include tra i “prestatori di servizi” gli “enti pubblici che forniscono servizi”), che gli enti pubblici (quali indubitabilmente sono gli ordini professionali) potranno partecipare alle gare per gli appalti di servizii (così rientrando nel campo di applicazione della direttiva n. 93/36/Cee: V. Corte Giustizia Ce, Sezione sesta, 94/2000) solo se ed in quanto siano soggetti istituzionalmente preposti (e dunque, in tal senso, “autorizzati”) alla erogazione del tipo di servizio oggetto dell’appalto; il che, come s’è visto, non può dirsi degli ordini professionali.

Pertanto, alla stregua e della natura di enti pubblici consociativi ad appartenenza obbligatoria propria degli ordini professionali (che ne fa degli organismi ausiliarii della Pa, dotati di una posizione giuridica risultante dal complesso di poteri, funzioni e prerogative loro attribuiti dal legislatore) e della qualificazione, che del prestatore di servizii fornisce la sopra richiamata norma comunitaria, gli ordini stessi non possono essere annoverati tra le categorie di operatori imprenditoriali privati e pubblici abilitati a partecipare ai pubblici appalti di servizii indetti dalle Pp.aa, in quanto istituzionalmente preposti al raggiungimento di finalità di interesse generale, con un’autonomia negoziale piena sì (trattandosi di enti pubblici dotati di personalita giuridica), ma attenuata, con riguardo alla fattispecie negoziale che ne occupa, dal principio, secondo il quale tali enti possono concludere ogni tipologia contrattuale consentita dall’ordinamento, sempre che l’oggetto del contratto sia compatibile e coerente con i loro compiti e funzioni istituzionali.

Una tale compatibilità appare, ad avviso del Collegio, ben lungi dal potersi intravedere nel caso all’esame, in cui è del tutto palese l’inconferenza dell’attività economica, che si pretende di esercitare, rispetto ai precisi compiti (di tenuta dell’albo, di disciplina degli iscritti, ecc.) agli enti in questione affidati dal legislatore.

L’autonomia degli stessi si presenta, così, come “strumentale”, ossia caratterizzata da un intrinseco limite teleologico, nel senso di essere necessariamente volta al perseguimento di specifiche finalità d’interesse generale, legislativamente individuate, cui strettamente ineriscono e debbono inerire le funzioni esercitate da tali enti.

Del resto, pur rimanendo ferme le conclusioni sovraesposte (di carattere determinante ai fini che rilevano), anche a voler ipotizzare una equiparazione tra gli ordini e collegi professionali, nella loro qualità di enti di diritto privato, alle società – con un’analisi, quindi, che privilegi un punto di vista strettamente privatistico della fattispecie -, si perverrebbe – come è stato attentamente osservato in dottrina con riguardo a fattispecie analoga - comunque alle stesse conclusioni.

Com’è noto, infatti, una società, nello svolgimento della propria attività, è tenuta a perseguire lo scopo risultante dall’atto costitutivo, rivelandosi invalido un eventuale atto compiuto al di fuori dell’oggetto sociale.

Ebbene, in assenza di un potere statutario attribuito a detti enti, è lo stesso legislatore a circoscrivere l’ambito di azione degli stessi, escludendo chiaramente che la loro capacita giuridica si possa estendere all’esecuzione di attività, quale quella in argomento, di tipo imprenditoriale.

Tale incapacità non permetterebbe quindi a qualsivoglia Collegio geometri, a causa di una impossibilita di tipo giuridico, di svolgere le attività oggetto dell’appalto, alla gara per la cui aggiudicazione le odierne appellate aspirano; così da rendere di riflesso nullo il relativo contratto, che, in caso di aggiudicazione, esso andrebbe a stipulare, in quanto, com’è noto, l’impossibilita dell’oggetto, cui, ai sensi degli articolo 1346 e 1418 Cc, consegue la nullità del contratto, ricorre quando la prestazione sia insuscettibile di essere effettuata per la sussistenza di impedimenti originari di carattere materiale o giuridico che ostacolino in modo assoluto il risultato cui essa era diretta (Cassazione civile, Sezione seconda, 6927/01).

È bene, infine, chiarire che, alla luce di quanto fin qui evidenziato, risultano impraticabili sia l’attribuzione, che gli appellanti tentano inconferentemente di operare, alla legge 109/94 del valore di normativa di principio e di riferimento anche per le procedure di affidamento degli appalti di servizii (giacché questi, invero, trovano disciplina in una specifica normativa e ciò non consente l’applicazione in via analogica di altre norme: v. CdS, Sezione quinta, 3207/02), sia i rilevi dagli stessi formulati per ricordare la recente evoluzione dell’ordinamento verso l’ammissione alle pubbliche gare delle cooperative sociali e delle cc.dd. Onlus (cui basta contrapporre la semplice considerazione ch’è stata all’uopo necessaria una espressa e specifica disciplina legislativa: v. legge 266/91; legge 381/91, D.Lgs 460/97).

3. In ogni caso, poi, è da ritenersi che correttamente, la commissione d’appalto ha escluso gli odierni appellanti dalla gara de qua sul rilievo che «il Collegio [dei geometri] inoltre non ha una rappresentanza negoziale dei suoi iscritti non essendo abilitato ad esprimere la volontà degli iscritti ed in grado di obbligarsi in nome e per conto degli stessi».

Al riguardo osserva la Sezione che il fatto che, negli ordini professionali, l’interesse collettivo dell’ente esponenziale coincida necessariamente con quello della categoria (v. CdS, Sezione quarta, 907/97), non porta affatto a concludere, come gli stessi pretendono, che l’acquisizione dell’appalto di cui si tratta, così come la stipulazione del contratto a séguito della eventuale aggiudicazione, sarebbe stata direttamente imputabile, secondo l’ordinario meccanismo della rappresentanza negoziale, ai singoli iscritti, la cui sommatoria di requisiti professionali, economici e strumentali verrebbe poi a rappresentare, secondo tali tesi, la “capacita” del Collegio.

Va infatti puntualizzato che gli ordini professionali, in quanto forniti di personalità giuridica, costituiscono autonomi centri di rapporti giuridici, che non operano tuttavia come mandatarii degli iscritti, per cui essi sono legittimati a compiere atti giuridici non nell’interesse (giuridico ed economico) dei singoli rappresentati (quale indubbiamente si configura quello connesso alla partecipazione ad una gara), ma solo nell’interesse collettivo dell’ente stesso, ovvero nell’interesse della categoria obiettivamente ed unitariamente considerata.

Solo, infatti, in caso di “consorzi”, la responsabilità solidale tra il consorzio ed i singoli consorziati, prevista dall’articolo 2615, comma secondo, cod. civ. in ipotesi di obbligazioni contratte per conto del singolo consorziato, non richiede la spendita del nome di quest’ultimo, la cui obbligazione sorge, quindi, direttamente in capo a lui per il solo fatto che sia stata assunta nel suo interesse, in deroga al principio generale contenuto nell’articolo 1705 del Cc stesso.

4. Infondate, alla luce delle considerazioni fin qui svolte, risultano anche le censùre:

riguardanti la asserita violazione dei principii, che régolano le procedure di evidenza pubblica per la scelta del contraente e ciò in quanto la necessita di confronto concorrenziale (che scaturisce dall’esistenza di una pluralità di imprese operanti nel settore e quindi dal principio generale in tema di attività negoziale della Pa, che impone di procedere ad un adeguato vaglio comparativo al fine di individuare il miglior possibile contraente alle migliori possibili condizioni contrattuali, nel rispetto dei principi di trasparenza, concorrenzialità, imparzialità e buon andamento) non risulta lesa o messa in pericolo dalla disposta esclusione dei collegi appellanti, che non possono certo considerarsi, nel senso che si è sopra precisato, “imprese operanti nel settore”;

che ipotizzano un conflitto tra i due ordinamenti (quello comunitario e quello nazionale), che non pare affatto sussistere, in quanto, derivando la “incapacità” degli ordini a partecipare alle gare di cui trattasi direttamente dalle leggi che li istituiscono e régolano (e che attribuiscono loro una indubbia natura pubblica, strettamente correlata ai poteri, di cui sono investiti ed alle funzioni loro attribuite), va qui ribadito che le Pubbliche Amministrazioni, nell’esercizio delle loro attività organizzative e soprattutto di quelle connesse a compiti e funzioni istituzionali, non possono incontrare limiti nella disciplina comunitaria (v. CdS, Sezione quarta, 104/96);

che invocano l’incostituzionalità della disciplina di riferimento degli appalti pubblici di servizii con riguardo agli articoli 3 e 41 Costituzione, in quanto il modo di esercizio delle funzioni pubblicistiche affidate agli ordini e la conseguente, veduta, loro incapacità di esercitare attività economiche incompatibili con le funzioni loro attribuite rientrano nella potestà di organizzazione della Pa, rispetto alla quale i principii costituzionali invocati dagli enti che quelle funzioni sono chiamati ad esercitare si rivelano del tutto inconferenti.

5. In base alle pregresse considerazioni, l’appello deve essere respinto.

Si ravvisano, tuttavia, giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese del presente grado di giudizio.


P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, respinge l’appello e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.
Spese del presente grado compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma il 2 dicembre 2003.

(Presidente Salvatore – Estensore Cacace)

DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 16 marzo 2004.

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