REGIONE UMBRIA - LEGGE REGIONALE N. 34 DEL 10-07-1987
Norme per la tutela dei consumatori e degli utenti
ed istituzione della Consulta regionale per l'utenza ed il consumo.
ARTICOLO 1
(Finalità ed obiettivi).
1. La Regione Umbria riconosce il fondamentale ruolo economico e sociale del cittadino nella sua qualità di consumatore e di utente di beni e servizi di godimento individuale e collettivo.
2. Essa pertanto opera allo scopo di qualificare ed orientare i consumi nel rispetto della legislazione nazionale e delle norme della CEE, e nell' esercizio delle funzioni delegate dallo Stato ai sensi dell' art. 77 del DPR 24 luglio 1977, n. 616, perseguendo i seguenti obiettivi:
a) attivazione di tutte le iniziative idonee ad accrescere la qualità e la fruibilità dei beni e dei servizi, a vantaggio dei cittadini;
b) promozione ed attuazione di una politica di educazione e informazione del consumatore, per l'instaurazione di un più razionale rapporto socio - economico con la produzione, la distribuzione ed i servizi a fruizione collettiva;
c) promozione della formazione dell'operatore economico, nell'ottica di una esaltazione della professionalità nel settore distributivo e di un miglioramento della qualità del rapporto con i consumatori e gli utenti;
d) promozione e sviluppo dell'associazionismo tra i consumatori, per garantire a ciascun cittadino la partecipazione ai benefici della vita associata.
3. La Regione Umbria, a tal fine, si avvale della Consulta regionale per l'utenza ed il consumo di cui al successivo articolo 2.
ARTICOLO 2
(Istituzione della Consulta regionale per l'utenza ed il consumo).
1. E' istituita la Consulta regionale per l'utenza ed il consumo, presso la Giunta regionale.
2. La Consulta regionale per l'utenza ed il consumo è l'organismo consultivo della Regione Umbria, sulle questioni attinenti i problemi dei consumatori e degli utenti.
3. La Consulta è nominata con decreto del Presidente della Giunta regionale, rimane in carica per la durata della legislatura regionale ed è composta:
a) dal Presidente della Giunta regionale, o suo delegato, che la presiede;
b) da tre membri esperti designati dal Consiglio regionale con voto limitato a due;
c) da tre membri nominati dalle confederazioni sindacali maggiormente rappresentative in campo nazionale;
d) da un numero di membri non inferiore a sette e non superiore a dieci, designati dai gruppi organizzati di consumatori;
e) da un numero di membri non inferiore a sette e non superiore a dieci, designati dagli organismi regionali delle associazioni di categoria del mondo della produzione, della distribuzione e della cooperazione, maggiormente rappresentative a livello nazionale;
f) da quattro membri ciascuno dei quali designato, rispettivamente dalle facoltà di agraria, medicina e chirurgia, veterinaria ed economia e commercio dell'Università degli studi di Perugia, docenti presso le stesse facoltà.
4. Con deliberazione della Giunta regionale, sentita la commissione consiliare competente, sono individuati i soggetti di cui alle lett. d) ed e) del prececente comma, legittimati a designare propri rappresentanti nella Consulta ed è determinato il numero di membri da attribuire alle singole associazioni, in proporzione alla loro rappresentatività .
5. Le funzioni di segretario sono svolte da un dipendente regionale di livello non superiore all' VIII.
6. Le sedute della Consulta sono pubbliche.
7. La Consulta è convocata dal presidente almeno una volta ogni quattro mesi, oltrechè ogni qualvolta il presidente lo ritenga opportuno, o ne riceva richiesta con relativa indicazione dell' ordine del giorno da almeno un terzo dei suoi componenti.(1)
8. La Consulta adotta un regolamento per il proprio funzionamento.
9. La Consulta può articolare i propri lavori con l'istituzione di un Comitato esecutivo e di gruppi di lavoro, alle cui sedute possono partecipare esperti esterni.(1)
ARTICOLO 3
(Compiti della Consulta).
1. La Consulta regionale per l'utenza ed il consumo svolge i seguenti compiti:
a) formula proposte in materia di difesa dei consumatori ed utenti;
b) propone alla Giunta regionale conduce indagini e rilevazioni sull'andamento e sulla struttura dei prezzi e dei consumi, con particolare riferimento a quelli alimentari ed alla erogazione dei servizi pubblici;
c) esprime pareri sui progetti e sulle richieste di contributi regionali per le attività delle associazioni dei consumatori iscritti all'Albo regionale;
d) formula proposte e fornisce pareri sui contenuti e sulle modalità di attuazione dei programmi di informazione su stampa e su emittenti radiotelevisive pubbliche e private, di cui all' art. 5, predisposti dalla Regione, anche in collaborazione con gli enti locali e con le associazioni di difesa dei consumatori ed utenti, iscritte nell'Albo regionale di cui all' art. 7;
e) esprime proposte per il coordinamento degli interventi dei veri organismi regionali con competenze in materia di difesa dei consumatori e dell'ambiente.(2)
ARTICOLO 3 bis
(Iniziative, indagini, studi e ricerche in materia di tutela dei consumatori)
1. Su proposta della Consulta per l'utenza ed il consumo, la Giunta regionale assume le iniziative in materia di tutela dei consumatori di cui alle lettere a), b) dell'art. 3 della legge regionale 10 luglio 1987, n. 34.(3) e dell'ambiente;
ARTICOLO 4
(Garanzie per la salute e la sicurezza dei consumatori).
1. Gli obiettivi di cui all' art. 1 si attuano mediante il potenziamento, la vigilanza ed il coordinamento delle attività derivanti dall'applicazione delle norme che hanno per scopo la salute e la sicurezza dei consumatori e degli ambienti in cui vivono.
2. Nell'esercizio delle facoltà consentite dalla legge per la tutela della salute e dell'ambiente, il singolo cittadino può avvalersi dell'assistenza del Difensore civico regionale.
3. A tal fine le strutture delle ULSS, nell'ambito delle loro competenze, eseguono analisi a richiesta della Consulta regionale per l'utenza ed il consumo dei gruppi organizzati di consumatori iscritti all'Albo regionale di cui all' art. 7 e del Difensore civico.
4. Copia della richiesta di analisi deve essere indirizzata al sindaco del comune nel cui territorio è eseguito il prelievo del campione.
5. Del risultato delle analisi l'ULSS dà comunicazione, per mezzo raccomandata, al richiedente e al sindaco del comune nel cui territorio è eseguito il prelievo del campione. Il risultato delle analisi è altresì comunicato agli aventi diritto, i quali possono richiedere la revisione delle analisi stesse.
6. La divulgazione dei risultati delle analisi non è consentita sino a quando non sia stata effettuata l'eventuale revisione, di cui al comma precedente.
7. Nel caso in cui l'ULSS non ritenga di poter eseguire le analisi richieste, è tenuta a fornire agli interessati motivata comunicazione entro trenta giorni dal ricevimento della richiesta.
8. E' fatta comunque salva l'attivazione del servizio sanitario regionale per la tutela della salute e dell'ambiente da parte del singolo cittadino, ai sensi della legge n. 833 del 1978.
ARTICOLO 5
(Informazione ed educazione).
1. La Regione Umbria nel perseguire la finalità dell'informazione e dell'educazione del cittadino consumatore ed utente, e della formazione dell'operatore economico, assume iniziative, in collaborazione con organi di stampa, mezzi di comunicazione di massa, pubbliche istituzioni, al fine di realizzare la massima conoscenza delle problematiche dell'utenza e del consumo, la sensibilizzazione dell'opinione pubblica sulle dette tematiche e, d'intesa con l'autorità scolastica, la realizzazione di iniziative formative per docenti e discenti sulle questioni dell'educazione al consumo anche nel quadro degli interventi previsti dalla legge regionale 21 ottobre 1981, n. 69.
ARTICOLO 6
(Concessione di contributi alle associazioni di consumatori ed utenti).
1. La Giunta regionale eroga contributi fino a un massimo del trenta percento di fondi disponibili per l'attività e l'organizzazione delle associazioni iscritte all'Albo regionale di cui all'art. 7, su domanda delle associazioni stesse da presentare entro il 31 gennaio di ogni anno. I contributi regionali sono erogati sulla base di criteri e modalità approvati dalla Giunta regionale, su parere della Consulta regionale per l'utenza ed il consumo, con riferimento all'art. 12 della legge 7 agosto 1990, n. 241.
2. La restante quota del fondo disponibile viene utilizzata per il finanziamento di specifici progetti di ricerca, secondo le procedure indicate nei commi successivi.
3. Entro il 31 gennaio di ogni anno le associazioni dei consumatori di cui all'art. 7 sono tenute a far pervenire i progetti di ricerca concernenti la tutela dei consumatori. Tali progetti vanno corredati di una relazione illustrativa delle finalità e delle modalità attuative del progetto, del relativo preventivo di spesa, di una relazione concernente l'attuazione dei progetti approvati nel precedente esercizio e del rendiconto delle spese sostenute.
4. Entro il 31 marzo, sentito il parere della Consulta regionale per l'utenza ed il consumo, la Giunta regionale delibera in merito all'assegnazione dei contributi e comunica la decisione alle associazioni interessate.
5. Per quanto non disposto dalla presente legge, si fa rinvio alla vigente normativa regionale attuativa della legge 7 agosto 1990, n. 241.(4)
ARTICOLO 6 bis
(Sportello del consumatore).
1. Presso la Giunta regionale è istituito lo 'Sportello del Consumatore'.
2. Lo sportello ha lo scopo di fornire, a livello regionale, informazioni, documentazioni e consulenza su problemi specifici e su problematiche generali attinenti la tutela dei consumatori.
3. Il servizio è gestito dalle associazioni dei consumatori iscritte all'Albo regionale di cui all'art. 7, sulla base di una apposita convenzione con la Regione dell'Umbria.
4. Entro il 31 gennaio di ciascun anno, le associazioni dei consumatori sono tenute a far pervenire alla Giunta regionale un programma di gestione del servizio con le iniziative specifiche da attuare nell'ambito dell'attività dello sportello.
5. La documentazione di cui al comma 4 va corredata da una relazione dettagliata sull'attività svolta dallo sportello nel precedente esercizio.(5)
ARTICOLO 7
(Albo regionale delle Associazioni di consumatori ed utenti).
1. E' istituito presso la Giunta regionale l'albo regionale delle associazioni di consumatori ed utenti che, per gli effetti di cui alla presente legge, debbono possedere i seguenti requisiti:
a) siano costituite da almeno un anno e dimostrino di aver svolto attività nell'ambito della tutela dei consumatori e degli utenti;
b) siano presenti con proprie sezioni, in entrambe le province, in almeno cinque comprensori complessivamente; siano dotate di un organismo direttivo o esecutivo a livello regionale;
c) assicurino la partecipazione degli iscritti alla vita interna dell' organizzazione.
2. La Giunta regionale provvede annualmente all'aggiornamento dell'albo.
ARTICOLO 8
(Osservatorio dei prezzi e dei consumi).
1. E' istituito presso la Giunta regionale l'Osservatorio dei prezzi e dei consumi.
2. Rientra fra i compiti dell'Osservatorio:
a) condurre indagini e rilevazioni sull'andamento e sulla struttura dei consumi;
b) formulare previsioni su probabili sviluppi dei consumi anche ai fini del controllo dei dati di cui alla lett. a) del comma primo dell' art. 77 del DPR 24 luglio 1977, n. 616;
c) effettuare prove comparate sugli standards qualitativi e sui prezzi, avvalendosi anche degli enti che dispongano di idonee strutture tecnico - scientifiche; i risultati di tali prove sono portati a conoscenza dei consumatori;
d) esaminare l'andamento dei prezzi in materia dei prodotti a prezzi liberi, sorvegliati o disciplinati.
3. I programmi di attività dell'Osservatorio sono discussi con la Consulta regionale per l'utenza ed il consumo. Dei risultati dell'attività dell'osservatorio la Consulta viene periodicamente informata.(1)
4. Per lo svolgimento della propria attività , l'Osservatorio può avvalersi mediante apposite convenzioni, della collaborazione di enti, centri di ricerca specializzati o istituti universitari, ovvero, a norma delle leggi vigenti, di esperti dotati di particolare qualificazione tecnico - scientifica.
5. Le attività dell'osservatorio sono ricomprese tra quelle di cui all'art. 4 della legge regionale 30 agosto 1988, n. 35 'Disciplina dell'intervento pubblico in materia di distribuzione'.(1)
ARTICOLO 9
(Notizie sulle attività svolte).
1. La Giunta regionale trasmette annualmente al Consiglio una relazione sulle attiità svolte dalla Consulta di cui all' art. 2 e dell' Osservatorio di cui all' art. 8.
ARTICOLO 9 bis
(Indennità e rimborsi).
1. Ai membri della consulta, del comitato esecutivo e dei gruppi di lavoro, estranei all'Amministrazione regionale, è corrisposto per ogni giornata di seduta dei rispettivi organi, un gettone di presenza di lire 30.000 lorde ed il rimborso delle spese di viaggio previste dalle vigenti disposizioni regionali per il proprio personale di più elevato livello funzionale.(1)
ARTICOLO 10
(Norma finanziaria).
1. All'onere per la corresponsione dei gettoni di presenza e del rimborso spese di cui all'art. 9bis, si fa fronte con quota dello stanziamento annuale del cap. 560 iscritto nel Bilancio regionale.
2. All'onere per l'espletamento dei compiti dell'osservatorio dei prezzi e dei consumi, si fa fronte con lo stanziamento del cap. 5690, denominato 'Interventi promozionali e programmatori della Regione in materia di commercio', iscritto al Bilanco regionale.
3. Per la concessione di contributi finalizzati per la funzionalità e l'organizzaizone delle associazioni iscritte all'albo e per il finanziamento di specifici progetti in materia di tutela dei consumatori, è autorizzata, per l'anno 1996 la spesa di lire 40.000.000, da iscrivere, in termini di competenza e di cassa, all'esistente cap. 5701 dello stato di previsione della spesa.
4. Per l'espletamento dei compiti della Regione dell'Umbria, di cui agli articoli 3bis e 5, è autorizzata per l'anno 1996 la spesa di 20.000.000, da iscrivere in termini di competenza e di cassa al cap. 5685 di nuova istituzione nel Bilancio preventivo regionale (tit. 1 - sez. 10 - rubr. 49 - categ. 4), denominato 'Interventi per iniziative, indagini, studi e ricerche in materia di tutela dei consumatori'.
5. Per l'attività dello 'Sportello del consumatore' è autorizzata per l'anno 1996 la spesa di lire 40.000.000, da iscrivere in ternini di competenza e di cassa al capitolo di nuova istituzione 5702 del Bilancio preventivo regionale (tit. 1 - sez. 10 - rubr. 49 - categ. 5) denominato 'Spese di funzionamento dello sportello del consumatore'. A tale capitolo potranno affluire finanziamenti e contributi da parte di altre Amministrazioni, Enti e Associazioni pubbliche e private.
6. All' onere complessivo di lire 100.000.000 cui ai precedenti commi 3) 4) 5) si fa fronte quanto a lire 20.000.000 mendiante pari riduzione, sia in termini di competenza dell'esistente cap. 5680 e quanto a lire 40.000.000 per lo stanziamento esistente al precedente cap. 5701.
7. Per gli anni dal 1997 in poi la spesa di cui alla presente legge sarà annualmente determinata con legge di bilancio a norma del secondo comma dell' artº 5 della LR 3 maggio 1978, n. 23. Al Bilancio preventivo regionale dell'anno 1996 sono apportate le seguenti variazioni sia nella competenza che nella cassa:(Omissis).
ARTICOLO 11
(Norme transitorie).
1. Entro 60 giorni dall'entrata in vigore della presente legge, si provvede alla costituzione della Consulta regionale per l'utenza ed il consumo ai sensi dell'art. 2.
2. La Consulta provvede all'approvazione del proprio regolamento entro 60 gg. dal suo insediamento.
3. Per l'esercizio finanziario 1987 le domande di concessione dei contributi di cui al primo comma dell'art. 6, devono essere presentate entro 60 giorni dall'entrata in vigore della presente legge.
(1) Così modificato con legge regionale 14 novembre 1988, n. 44
(2) Articolo così sostituito dall'art. 1 della legge regionale 12 luglio 1996, n. 17
(3) Articolo aggiunto dall'art. 2 della legge regionale 12 luglio 1996, n. 17
(4) Articolo così sostituito dall'art. 3 della legge regionale 12 luglio 1996, n. 17
(5) Articolo aggiunto dall'art. 4 della legge regionale 12 luglio 1996, n. 17
(6) Articolo così sostituito dall'art. 5 della legge regionale 12 luglio 1996, n. 17
Regione dell'Umbria
Legge regionale 3 agosto 1999, n. 24.
Disposizioni in materia di commercio in attuazione del decreto legislativo 31 marzo 1998, n.114.
TITOLO I
DISPOSIZIONI GENERALI
Art. 1
(Oggetto)
1. La presente legge disciplina il commercio in attuazione dei principi dettati dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114.
Art. 2
(Definizioni)
1. Ai fini della presente legge si intendono:
a. per decreto, il D.Lgs. 31 marzo 1998, n.114 sulla riforma della disciplina del commercio;
b. per esercizi non di vicinato, le medie, le grandi strutture di vendita ed i centri commerciali superiori alle soglie degli esercizi di vicinato di cui all’art. 4, comma 2, lettera d) del decreto;
c. per anni di attività di un esercizio commerciale, il periodo di tempo, espresso in anni interi, decorso dal momento del rilascio dell’autorizzazione all’apertura dell’esercizio, indipendentemente da eventuali interruzioni di attività o mutamenti di titolarità;
d. per personale dipendente di esercizi accorpati o concentrati, ai fini delle priorità e degli automatismi di cui all’art. 10, commi 2 e 3, del decreto, non solo i dipendenti in senso stretto, ma anche i titolari, i coadiutori ed i soci lavoratori legati all’impresa da rapporto di lavoro, a tempo pieno o part-time, purché regolarmente costituito in conformità alle vigenti disposizioni in materia;
e. per rilocalizzazione di una grande struttura di vendita, la cessazione di una iniziativa commerciale in un Comune con rinuncia e riconsegna dell’autorizzazione ed il contestuale rilascio di nuova autorizzazione in altro Comune della medesima zona ad alta densità commerciale;
f. per centro storico di un Comune o di una frazione, l’area a tal fine individuata nello strumento urbanistico generale del Comune o con ulteriore atto del Consiglio comunale o, in attesa di tale individuazione, l’area compresa entro le mura storiche, o corrispondente al nucleo storico della città o frazione laddove dette mura non esistono;
g. per Comuni ad economia prevalentemente turistica, città d’arte e loro parti di territorio di rilevanza turistica, i Comuni o le parti di essi individuati dalla Giunta regionale, su proposta dei Comuni e sulla base dei criteri previsti all'art. 26 commi 2 e 3;
h. per superficie di vendita di un esercizio di vicinato, di una media o di una grande struttura di vendita e di un centro commerciale, la sola superficie destinata alle attività commerciali al dettaglio disciplinate dal decreto, con esclusione della superficie destinata a pubblici esercizi, attività artigianali ed altre attività.
Art. 3
(Classificazione dei Comuni)
1. Ai fini dell’applicazione dei limiti dimensionali di cui all’art. 4, comma 1, lettere d), e) ed f) del decreto, nonché di ogni altra disposizione contenuta nella presente legge che faccia riferimento a categorie dimensionali-economiche dei Comuni, gli stessi sono suddivisi nelle seguenti classi:
o Classe I – Comprendente i Comuni con popolazione superiore a 50.000 abitanti;
o Classe II – Comprendente i Comuni con popolazione compresa tra 10.000 e 50.000 abitanti;
o Classe III - Comprendente i Comuni con popolazione compresa tra 3.000 e 10.000 abitanti;
o Classe IV - Comprendente i Comuni con popolazione inferiore a 3.000 abitanti.
2. Ai Comuni delle Classi I e II si applicano i limiti dimensionali superiori, tra quelli previsti per le medie e grandi strutture di vendita, all’art. 4, comma 1, lettere d), e) ed f) del decreto; ai Comuni delle Classi III e IV si applicano i limiti inferiori.
3. In attuazione di quanto disposto dall’art. 10, comma 4, del decreto, al fine di promuovere la rivitalizzazione dei centri storici anche mediante l’inserimento di attività di servizio alla popolazione residente e che fungano da elemento di richiamo e di propulsione per altre attività commerciali, anche dei Comuni appartenenti alle classi III e IV, trovano applicazione i limiti dimensionali superiori delle tipologie di esercizio, tra quelli previsti dall’art. 4, comma 1, lettere d), e) ed f) del decreto.
4. Ai fini del presente articolo la popolazione da considerare è quella registrata dal servizio anagrafico del Comune al 31 dicembre di ogni anno.
Art. 4
(Classificazione delle strutture di vendita)
1. Le medie e le grandi strutture di vendita, in relazione alla superficie di vendita utilizzata, si suddividono nelle seguenti tipologie:
M1 - Medie strutture inferiori: esercizi aventi superficie di vendita compresa tra 151 e 600 mq. nei Comuni delle classi III e IV e superficie compresa tra 251 ed 900 mq. nei Comuni delle classi I e II;
M2 - Medie strutture superiori: esercizi aventi superficie compresa tra 601 e 1500 mq. nei Comuni delle classi III e IV e superficie compresa tra 901 e 2500 mq. nei Comuni delle classi I e II;
G1 – Grandi strutture inferiori: esercizi aventi superficie compresa tra 1501 e 3500 mq. nei Comuni delle classi III e IV e superficie compresa tra 2501 e 5500 mq. nei Comuni delle classi I e II;
G2 – Grandi strutture superiori: esercizi aventi superficie di vendita maggiore di 3.500 mq. nei Comuni delle classi III e IV o maggiore a 5.500 mq. nei Comuni delle classi I e II fino ad un massimo di 10.000 mq. in entrambi i casi.
2. Le grandi strutture di vendita di tipo G2 possono essere realizzate esclusivamente nella forma del centro commerciale nel quale la superficie occupata dagli esercizi di vicinato e dalle medie strutture di vendita risulti pari ad almeno il 40 per cento della superficie di vendita totale.
3. In relazione ai due settori merceologici, alimentare e non alimentare, di cui all’art. 5, comma 1, del decreto, le medie e le grandi strutture di vendita si suddividono nelle seguenti categorie:
A – Esercizi del solo settore alimentare ed esercizi dei settori alimentare e non alimentare;
E – Esercizi del solo settore non alimentare.
4. All’interno degli esercizi non sono modificabili le superfici attribuite ai singoli settori senza autorizzazione.
5. L’identificazione di medie e grandi strutture di vendita avviene indicando la relativa tipologia dimensionale seguita dalla categoria merceologica.
TITOLO II
ESERCIZIO DELL’ATTIVITÀ DI VENDITA AL DETTAGLIO SULLE AREE PRIVATE IN SEDE FISSA
Sezione I
Programmazione rete distributiva
Art. 5
(Indirizzi generali e obbiettivi)
1. Gli indirizzi generali e gli obbiettivi per l’insediamento delle attività commerciali, oltre a quelli fissati dall’art. 1 del decreto e fermo restando le finalità generali ivi previste, sono definiti come segue:
a. promuovere la gradualità e fluidità del passaggio dal sistema normativo ed economico attuale al nuovo assetto previsto dal decreto, anche attraverso il recupero delle iniziative presenti, in conformità con le previsioni della presente legge e dei provvedimenti attuativi;
b. favorire la realizzazione di una rete distributiva regionale che, integrata con gli altri comparti del terziario pubblico e privato, assicuri la migliore produttività del sistema;
c. stimolare l’integrazione della distribuzione regionale con la produzione umbra, per la penetrazione dei prodotti sui mercati locali ed extraregionali, anche mediante il sostegno alla creazione di centrali distributive umbre con forte capacità di espansione oltre i confini regionali;
d. rendere compatibile l’impatto degli insediamenti commerciali di maggiori dimensioni sulle funzioni territoriali e valorizzare la funzione commerciale al fine di una riqualificazione del tessuto urbano;
e. operare un più stretto raccordo tra la programmazione economico-commerciale e la programmazione urbanistica del fenomeno distributivo, specie relativamente alle iniziative di maggiori dimensioni e rilevanza economica, uniformando a livello regionale i criteri di individuazione delle aree da destinare agli insediamenti e le condizioni cui gli stessi sono sottoposti;
f. favorire il recupero urbano dei quartieri periferici mediante operazioni di marketing urbano che vedano il terziario di mercato leva protagonista;
g. concorrere alla valorizzazione del patrimonio storico e culturale regionale e, in special modo, alla conservazione e rivitalizzazione della funzione tipica dei centri storici dei Comuni, anche sotto il profilo della distribuzione commerciale;
h. promuovere ed assecondare i processi di elevazione qualitativa del servizio distributivo, sia attraverso l’associazionismo economico tra dettaglianti e tra dettaglianti e grossisti, sia attraverso la specializzazione e la valorizzazione delle produzioni tipiche umbre;
i. coordinare l’attività edilizia volta alla valorizzazione dei suoli e al recupero delle aree industriali dismesse con le esigenze di equilibrato dimensionamento delle forme distributive;
j. promuovere l’integrazione delle varie forme di commercio e, in particolare, dell’attività commerciale in sede fissa su area privata e di quella su area pubblica;
k. favorire l’elevazione qualitativa e l’uniformità a livello regionale dell’attività formativa regionale in materia di commercio di cui all’art. 5 del decreto;
l. promuovere una programmazione articolata di tutti i pubblici poteri, ciascuno per le proprie competenze, per la semplificazione del procedimento amministrativo e per un sistema decisionale coordinato e condiviso.
2. La Regione ed i Comuni, ciascuno per il proprio ambito di competenza, si attivano affinché il perseguimento degli obiettivi di cui al comma 1 possa avvenire in forma coordinata e contestuale.
Art. 6
(Ripartizione del territorio regionale)
1. Ai fini della presente legge e secondo quanto disposto all’art. 6, comma 3, lettera b) del decreto, il territorio della Regione dell'Umbria è suddiviso nelle seguenti otto aree sovracomunali, configurabili come unico bacino di utenza:
1 – Perugia
2 – Terni
3 – Foligno
4 - Città di Castello
5 – Spoleto
6 – Gubbio
7 – Orvieto
8 - Castiglione del Lago
2. Sono inoltre individuate, ai fini di una più puntuale ed articolata programmazione, le seguenti zone ad alta densità commerciale:
3. La specificazione dei Comuni appartenenti alle singole aree sovracomunali è contenuta nell'allegato B alle presenti norme delle quali costituisce parte integrante.
Art. 7
(Criteri)
1. I Comuni, nella definizione degli indirizzi generali per le attività commerciali di cui all’art. 5, oltre agli obbiettivi ivi indicati ed alla ripartizione del territorio regionale di cui all’art. 6, devono tenere presenti i seguenti criteri:
a. promuovere l’integrazione degli interventi di programmazione e di indirizzo dell’apparato distributivo nell’ambito di progetti generali di valorizzazione del territorio o di sue parti ed operare attraverso un progetto di intervento, concepito unitariamente e quantificato nei tempi di realizzazione;
b. favorire la nascita di nuove iniziative attraverso processi di riconversione controllata delle realtà distributive marginali o meno produttive anche favorendone l’associazionismo;
c. curare una costante integrazione degli interventi pubblici con le iniziative private intraprese da operatori, consumatori, loro rappresentanze di categoria e centri di assistenza tecnica di cui all’art. 23 del decreto;
d. predisporre un efficiente sistema di monitoraggio delle variabili locali che interessano la distribuzione commerciale, anche finalizzato al corretto ed efficiente funzionamento dell’Osservatorio regionale del commercio di cui all’art. 32.
2. Entro 180 giorni dall’entrata in vigore della presente legge, i Comuni, in attuazione di quanto previsto all’art. 6, comma 5, del decreto, provvedono ad adeguare i propri strumenti urbanistici generali e attuativi nonché i regolamenti di polizia locale:
a. alle disposizioni di urbanistica commerciale, dettate dalla Regione;
b. a quanto disposto dalla presente legge.
3. I Comuni, inoltre, nei termini e secondo le modalità specificate negli articoli seguenti, provvedono a dotarsi di uno o più strumenti specifici di indirizzo dell’apparato distributivo, a seconda della propria ampiezza territoriale e demografica, delle problematiche presenti nel settore e delle scelte di intervento operate.
4. I Comuni, ferma restando la ripartizione del territorio predisposta per finalità di programmazione urbanistica, ai fini di garantire la migliore articolazione dell’offerta commerciale sul territorio e la migliore rispondenza delle tipologie di vendita alle diverse esigenze presenti nelle sue parti, possono suddividere il proprio territorio in aree o zone commerciali omogenee.
5. Il Comune, anche qualora non intenda operare la ripartizione del territorio in zone commerciali omogenee, deve comunque individuare il centro storico.
6. I Comuni, ai fini dell’applicazione dei limiti di cui all’art. 6, comma 2, lettera b) del decreto procedono all’individuazione delle località di particolare interesse artistico e naturale.
Art. 8
(Programmazione urbanistica)
1. I criteri di programmazione urbanistica riferiti al settore commerciale sono individuati, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 6, comma 2, del decreto, come segue:
a. obbligo per i Comuni di formulare, negli strumenti urbanistici, norme specifiche per il commercio e di individuare aree destinate ad insediamenti commerciali, in conformità agli strumenti di programmazione territoriale e di pianificazione urbanistica previsti dalla legge regionale 10 aprile 1995, n. 28, come modificata dalla legge regionale 21 ottobre 1997, n.31;
b. correlazione e contestualità dei procedimenti commerciale ed urbanistico, attraverso la preventiva acquisizione di autorizzazione per le medie e grandi strutture di vendita;
c. conformità urbanistica, ai fini dell’inoltro delle istanze di rilascio delle autorizzazioni all’apertura, ampliamento e trasferimento di medie e grandi strutture di vendita, attestata dal Comune;
d. finalizzazione di eventuali limiti per la tutela artistica, culturale e ambientale ai sensi dell’art. 6, comma 2, lettera b) del decreto e parametri e standard minimi di cui alla lett. c), al solo fine di tutela di interessi di natura urbanistica.
2. La strumentazione urbanistica per l’insediamento in aree non esclusivamente commerciali può:
a. individuare le attività da considerare compatibili, anche disponendo limitazioni di carattere merceologico;
b. disporre limitazioni quantitative in relazione alla eventuale presenza in dette aree di attività commerciali ordinarie.
Sezione II
Attività di formazione
Art. 9
(Principi e criteri)
1. L’attività formativa di cui all’art. 5 del decreto è svolta in coerenza con le normative comunitarie, nazionali e regionali e si ispira ai seguenti principi generali:
a. pluralismo dell’offerta formativa, mediante l’affidamento in gestione a più soggetti qualificati;
b. contenimento dei costi di accesso alla formazione, con particolare riferimento alla riqualificazione della piccola impresa ed a categorie disagiate;
c. distribuzione sul territorio e facilitazione alla partecipazione, mediante la previsione, per i corsi di cui all’art. 5, comma 5 del decreto, di sedi di esame in ciascuna provincia di cui all’art. 6, comma 1;
d. elevata qualità della formazione;
e. integrabilità dei programmi formativi di base e loro personalizzazione in relazione a specifiche esigenze e caratteristiche delle aree regionali, con particolare riguardo alle aree intensamente interessate da fenomeni turistici;
f. garanzia di uniformità dei livelli minimi di formazione a livello regionale, mediante procedure uniformi di espletamento di prove finali;
g. gradualità del progetto di elevazione del livello formativo generale.
2. Gli strumenti di programmazione previsti dalla legge regionale 21 ottobre 1981, n.69, e successive modificazioni ed integrazioni contengono le previsioni attuative concernenti l’attività formativa relativa ai corsi qualificanti per il settore alimentare ed ai corsi di aggiornamento, previsti dall’art. 5, commi 5 e 9 del decreto, sulla base dei principi di cui al comma 1, ed in particolare:
a. i soggetti, con le priorità previste dal decreto all’art. 5 comma 7, che possono svolgere i corsi, che non comprendono l’espletamento delle prove finali;
b. le modalità di svolgimento delle prove finali, con i relativi riferimenti territoriali;
c. le materie previste e alle ore minime di insegnamento, eventualmente integrabili dai soggetti gestori dei corsi, curandone il livello qualitativo e la loro omogeneità nell’ambito regionale;
d. gli incentivi per la partecipazione ai corsi;
e. ogni altro aspetto organizzativo o regolamentare di cui all’art. 5, commi 7 e 9 del decreto.
3. Per quanto attiene la ripartizione delle funzioni amministrative e dei compiti inerenti alla attività formativa tra Regione, Province e Comuni, nonché per gli aspetti generali si fa rinvio alla legge regionale 2 marzo 1999, n.3 ed alla legge regionale 25 novembre 1998, n.41.
Sezione III
Disciplina dell’attività di vendita
Art. 10
(Centri commerciali)
1. Ai sensi dell’art. 4, comma 1, lettera g) del decreto, i centri commerciali costituiti da più esercizi inseriti in una struttura a destinazione specifica che usufruiscono di infrastrutture comuni e spazi di servizio gestiti unitariamente sono classificati come un’unica media o grande struttura, a norma dell’art. 4. La necessità di apposita e distinta autorizzazione per il centro commerciale non esime dal rispetto di quanto disposto agli artt. 7, 8 e 9 del decreto, per l’attivazione dei singoli esercizi commerciali in esso inseriti.
2. Per apertura di un centro commerciale, ai sensi del combinato disposto degli artt. 4, comma 1, lettera g), 8 e 9 del decreto, si intende non solo l’attivazione di un complesso commerciale concepito e realizzato sulla base di apposito progetto, ma anche l’attivazione, in un complesso immobiliare unitario, di un centro realizzato mediante più operazioni formalmente distinte di apertura, trasferimento o ampliamento o accorpamento di attività commerciali in un arco di tempo inferiore a 18 mesi, e pertanto da considerarsi contestuali, quando vengano superati i limiti dimensionali previsti per le medie e grandi strutture di vendita.
3. Nell’ipotesi di cui al comma 2, la domanda di autorizzazione per il centro, complessivamente considerato, deve essere inoltrata dal promotore o dal legale rappresentante dell’organismo di gestione del centro o, in mancanza, dal titolare dell’esercizio che, con il proprio ingresso nel centro, fa superare i limiti dimensionali minimi previsti.
Art. 11
(Compatibilità territoriale delle medie e grandi strutture di vendita)
1. L’apertura di grandi e medie strutture di vendita di cui alla Sezione IV, può avvenire solo nel territorio di Comuni, la cui classe di appartenenza, ai sensi dell’art. 3, risulti compatibile con la categoria e tipologia dell’esercizio, secondo quanto indicato nella tabella che segue:
CLASSE DEL COMUNE
TIPOLOGIE INCOMPATIBILI
I. oltre 50.000 abitanti
Nessuna
II. 10.000-50.000
G2/A
III. 3.000-10.000
G2 e G1/A
IV. meno di 3.000
G2, G1, M2/A
2. I vincoli di cui al comma 1, non trovano applicazione per i Comuni compresi nelle zone ad alta densità commerciale di cui all’art. 6, comma 2, né qualora la media o grande struttura di vendita si collochi a non oltre 2 km. in linea d’aria da una delle seguenti vie di comunicazione di interesse regionale:
Sezione IV
Programmazione regionale delle grandi strutture di vendita
Art. 12
(Disponibilità per il rilascio di nuove autorizzazioni per grandi strutture di vendita)
1. Per il rilascio delle autorizzazioni all’apertura di nuove grandi strutture di vendita è consentito in conformità a quanto stabilito nella tabella di cui all’allegato A.
2. Con cadenza biennale, a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, i parametri numerici in essa contenuti e, in particolare, le disponibilità per l’apertura di grandi strutture di vendita, previste all’allegato A, vengono sottoposte a verifica, aggiornamento e adeguamento da parte del Consiglio regionale. L’eventuale modificazione dei parametri è legata all’evoluzione degli indicatori della rete distributiva regionale, ai mutamenti intervenuti nel mercato, nella situazione socio-economica regionale o in altri fattori influenti sulla distribuzione commerciale. L’aggiornamento è effettuato con deliberazione del Consiglio regionale nel rispetto delle procedure previste dall’art. 6, comma 4, del decreto.
Art. 13
(Apertura di grandi strutture di vendita: presupposti)
1. Il rilascio di autorizzazioni all’apertura di grandi strutture di vendita è subordinato alla verifica della sussistenza delle seguenti condizioni:
a. rispetto delle disposizioni in materia di urbanistica, dettate dalla Regione e dal Comune;
b. sussistenza del requisito di compatibilità territoriale dell’insediamento, in relazione alla classe cui appartiene il Comune, di cui all’art. 3;
c. compatibilità con le previsioni di possibilità di insediamento contenute nella tabella di cui all’allegato A;
d. positivo riscontro delle caratteristiche qualitative minime dell’insediamento previste nel regolamento di cui all’art. 49;
e. articolazione in forma di centro commerciale delle grandi strutture di vendita di tipo G2;
f. sussistenza di ogni altra condizione richiesta dalla presente legge.
2. Costituiscono ipotesi di apertura di una grande struttura di vendita:
a. la realizzazione ex novo di una grande struttura;
b. l’ampliamento di una media struttura di vendita esistente oltre i valori massimi di superficie previsti per le medie strutture di vendita in relazione alla classe del Comune in cui la stessa insiste;
c. l’ampliamento di una grande struttura di vendita di categoria inferiore (G1) che importi il superamento dei limiti dimensionali minimi previsti per le grandi strutture di vendita superiori (G2);
d. l’aggiunta merceologica di un intero settore, di cui all’art. 5, comma 1, del decreto, precedentemente non autorizzato;
e. l’accorpamento di due o più esercizi commerciali in un’unica grande struttura di vendita;
f. la rilocalizzazione, come definita dall’art. 2, comma 1, lettera e).
Art. 14
(Apertura di Grandi strutture di vendita: priorità)
1. Per domande concorrenti, ai sensi delle presenti disposizioni, si intendono quelle presentate al Comune competente nel corso del medesimo mese. Sono concorrenti anche le domande presentate nel medesimo mese in diversi Comuni appartenenti allo stesso bacino di utenza od aree ad alta densità commerciale di cui all’art. 6, commi 1 e 2.
2. Ai sensi dell’art. 10, comma 2, del decreto, tra più domande concorrenti per l’apertura di nuove grandi strutture di vendita come definite all’art. 13, comma 2, è data priorità alle domande accompagnate da contestuale rinuncia, condizionata all’accoglimento della domanda stessa, a due o più, medie o grandi strutture di vendita, nel rispetto delle seguenti condizioni:
a. le strutture di vendita accorpate siano ubicate nel medesimo Comune o, trattandosi di rilocalizzazione, nella medesima zona ad alta densità commerciale;
b. tra le strutture di vendita rinunciate ve ne sia almeno una della medesima categoria dimensionale o della categoria dimensionale immediatamente inferiore a quella che si intende realizzare;
c. la somma delle superfici di vendita delle strutture rinunciate sia almeno pari alla superficie richiesta per la nuova struttura, distintamente per i due settori merceologici alimentare e non alimentare, imputata sulla base dell’attività prevalente.
3. In ogni caso la priorità di cui al comma 2 può essere fatta valere solo qualora:
a. trattandosi di struttura alimentare, la domanda sia accompagnata da impegno di reimpiego del personale;
b. trattandosi di struttura non alimentare, la domanda sia inoltrata da chi abbia partecipato ai corsi di formazione, o comunque dimostri il possesso del requisito di adeguata qualificazione.
4. Tra domande concorrenti con titolo di priorità ai sensi del comma 2, così come tra domande prive di tale titolo, è data priorità, nell’ordine, in funzione dei seguenti criteri:
a. trasferimento nell’ambito della stessa zona commerciale del Comune;
b. trasferimento nell’ambito del Comune;
c. rilocalizzazione nella medesima zona ad alta densità commerciale e, tra più domande di rilocalizzazione, maggiore superficie di vendita complessiva rilocalizzata;
d. inserimento della struttura in un centro commerciale, insieme ad altri operatori di piccolo dettaglio;
e. quantità di manodopera locale assorbita o riassorbita, in particolare già impiegata nel commercio;
f. titolarità di altre grandi strutture di vendita nella regione;
g. impegno formalmente assunto nell’applicazione dei Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro della categoria.
Art. 15
(Ampliamento di grandi strutture di vendita)
1. L’ampliamento di superficie di grandi strutture di vendita della tipologia G1 è soggetto ad autorizzazione del Comune, su conforme parere della Conferenza di servizi di cui all’art. 9, comma 3, del decreto.
2. L’autorizzazione, fermo il rispetto delle disposizioni in materia urbanistica, igienico-sanitaria, di sicurezza e simili, è sempre concessa, ai sensi dell’art. 10, comma 3 del decreto, qualora concorrono tutte le seguenti condizioni:
a. che l’ampliamento avvenga per concentrazione o accorpamento di esercizi commerciali, già autorizzati ai sensi dell’art. 24 della legge 11 giugno 1971, n.426 per generi di largo e generale consumo, e conteggiati per il valore di 150 mq. o 250 mq. ciascuno, a seconda della classe di appartenenza del Comune, o per la superficie effettiva, se maggiore. Gli esercizi accorpati debbono provenire dal medesimo Comune ovvero, trattandosi di ampliamento di grandi strutture di tipologia G1 esistenti nelle zone di cui all’art. 6, comma 2, dalla medesima zona ad alta densità commerciale;
b. che l’ampliamento delle grandi strutture di vendita della tipologia G1 non superi i limiti dimensionali massimi della categoria stessa, in relazione al Comune ove la struttura insiste;
c. che la domanda sia accompagnata da impegno di reimpiego del personale già operante negli esercizi commerciali da concentrare o accorpare.
3. Qualora tutti o parte degli esercizi concentrati o accorpati non siano autorizzati per generi di largo e generale consumo ovvero la domanda non sia accompagnata da impegno di reimpiego del personale, l’ampliamento può ugualmente essere concesso, ma il rilascio della relativa autorizzazione non costituisce atto dovuto ai sensi dell’art. 10, comma 3 del decreto, bensì sottoposto a puntuale valutazione.
4. L’ampliamento delle superfici di vendita delle grandi strutture della tipologia G1, è in ogni caso sempre concesso per un ammontare massimo del 10 per cento della superficie, per una sola volta e sempre che l’esercizio ampliato permanga nei limiti della tipologia G1, qualora la domanda sia accompagnata da accordo sindacale per assorbimento nella struttura di lavoratori, autonomi o dipendenti, già operanti in esercizi di vicinato presenti nel raggio di due chilometri dalla grande struttura di vendita, in misura non inferiore ad una unità ogni 70 mq. di superficie aggiuntiva.
5. Non è ammesso ampliamento di grandi strutture della tipologia G2.
Art. 16
(Aggiunta di settore merceologico)
1. L’aggiunta di un settore merceologico, in una grande struttura di vendita esistente e senza variazione della superficie complessiva è autorizzabile a condizione che vengano contestualmente rinunciate ed accorpate una o più medie strutture di vendita, già autorizzate per il nuovo settore richiesto. La somma delle superfici delle strutture rinunciate o accorpate non deve essere inferiore alla superficie che si intende destinare al nuovo settore.
2. Qualora l’operazione di aggiunta di un settore merceologico mancante avvenga contestualmente all’ampliamento della superficie dell’altro settore già autorizzato, per tale ampliamento si applicano le disposizioni dell’articolo 15.
Art. 17
(Trasferimento e rilocalizzazione delle grandi strutture di vendita)
1. Fuori dei casi di rilocalizzazione di cui al comma 2, il trasferimento di sede delle grandi strutture di vendita, nell’ambito del territorio comunale, è autorizzato dal Comune, previa valutazione da parte della Conferenza di servizi di cui all’art. 9 del decreto degli effetti sul tessuto commerciale e di ogni altro aspetto di rilievo, a condizione che la nuova ubicazione prescelta sia conforme alle disposizioni regionali e locali in materia di urbanistica commerciale.
2. La rilocalizzazione di una grande struttura di vendita è ammessa alle seguenti condizioni cumulative:
a. che essa avvenga tra Comuni della medesima zona ad alta densità commerciale, di cui all’art. 6, comma 2;
b. che nella tabella di cui all’allegato A vi siano disponibilità per nuove grandi strutture di vendita.
3. La rilocalizzazione in ogni caso assorbe una disponibilità per apertura di grandi strutture di vendita nella zona ad alta densità nella quale avviene.
Art.18
(Procedura di rilascio delle autorizzazioni per le grandi strutture di vendita)
1. La domanda di apertura di grandi strutture di vendita, di cui all’art. 9 del decreto, è inoltrata al Comune competente unitamente agli allegati necessari alla sua valutazione consistenti nel progetto urbanistico preliminare con relativa destinazione d’uso dei suoli, nella descrizione analitica delle caratteristiche commerciali dell’iniziativa ed in una valutazione di impatto commerciale. La domanda è inviata in copia, senza allegati e per conoscenza, anche alla Regione.
2. Il Comune, entro 7 giorni dal ricevimento della domanda, provvede ad integrare per quanto di sua competenza la documentazione allegata, e, nel contempo, invita l’interessato a procedere alla eventuale regolarizzazione o integrazione nel termine di giorni 30 dalla relativa comunicazione. Decorso il detto termine, senza che l’interessato abbia provveduto a quanto richiesto, la domanda si intende rinunciata. Completata la domanda, il Comune invia l’intera documentazione ricevuta e raccolta agli uffici regionali.
3. Nel termine di 30 giorni decorrente dall’invio alla Regione della documentazione a corredo dell’istanza, il Comune, previa intesa con la Provincia e con la Regione, la quale terrà conto della eventuale presenza di domande concorrenti di cui all’art. 14, indice la Conferenza di servizi prevista all’art. 9 del decreto, fissandone lo svolgimento non oltre il novantesimo giorno successivo alla data di indizione.
4. Della data di indizione della Conferenza è data notizia, mediante comunicazione dell’ordine del giorno, all’istante, a tutti i Comuni appartenenti alla medesima area sovracomunale configurabile come unico bacino di utenza, alle organizzazioni provinciali di categoria, perché possano esercitare le facoltà di cui all’art. 9, comma 4, del decreto.
5. Le domande relativamente alle quali non è comunicato provvedimento di diniego decorsi 120 giorni dalla data di convocazione della Conferenza di servizi devono intendersi accolte.
Sezione V
Compiti dei Comuni
Art. 19
(Strumenti di promozione)
1. Al fine di promuovere l’equilibrato sviluppo delle medie strutture di vendita sul proprio territorio, nonché la loro integrazione con l’intero apparato distributivo, i Comuni, entro 8 mesi dall’entrata in vigore della presente legge, si dotano degli strumenti necessari a garantire la promozione della rete comunale per le medie strutture di vendita, previa analisi ricognitiva dell’intero apparato distributivo al dettaglio del Comune e valutazione della situazione di mercato, in conformità agli indirizzi della programmazione regionale, al fine di:
a. determinare il numero, la categoria dimensionale e la tipologia merceologica delle medie strutture di vendita di nuova realizzazione, secondo la classificazione operata all’art. 6 della presente legge. I Comuni delle classi I e II possono ulteriormente suddividere le medie strutture di vendita di tipo M2 in due sottocategorie dimensionali;
b. disciplinare l’apertura, l’ampliamento merceologico o di superficie, il trasferimento delle medie strutture di vendita ed ogni altro aspetto non espressamente regolato dal decreto o dalla presente legge, nel rispetto dei principi di libera concorrenza e mobilità degli operatori sul territorio.
2. La definizione degli strumenti di cui al comma 1, richiede la previa consultazione delle Associazioni dei consumatori e degli operatori commerciali più rappresentative a livello provinciale e delle Organizzazioni sindacali dei lavoratori, e, per i Comuni delle classi I e II, delle rappresentanze comunali delle predette associazioni, qualora esistenti.
3. Le determinazioni assunte dai Comuni ai sensi del comma 1, sono riviste ed aggiornate ogni quattro anni, con la stessa procedura.
4. Va in ogni caso garantita la libera trasferibilità in tutto il territorio comunale delle medie strutture di vendita di tipo M1 non alimentare, in attività da almeno tre anni.
5. In sede di strumento di indirizzo e promozione delle medie strutture di vendita i Comuni possono aumentare i valori di superficie previsti dall’art. 20, comma 3, lettera a) e ridurre le percentuali previste al medesimo art.20, comma 4.
Art. 20
(Autorizzazioni per medie strutture di vendita)
1. I Comuni rilasciano le autorizzazioni all’apertura, all’accorpamento, al trasferimento o all’ampliamento merceologico o di superficie di medie strutture di vendita sulla base dei criteri fissati nell’apposito strumento di promozione, nonché dei criteri di cui al presente articolo, disposti ai sensi dell’art. 8, comma 1, del decreto.
2. Ai sensi dell’art. 10, comma 2, del decreto, salvo diversa e motivata regolamentazione del Comune in sede di strumento di indirizzo e promozione delle medie strutture di vendita, tra più domande concorrenti tendenti all’apertura di una media struttura di vendita, hanno priorità quelle che prevedono la concentrazione di almeno due preesistenti medie strutture di vendita, in attività da almeno tre anni, sempre che sussistano le medesime condizioni previste all’art. 14, comma 3, per le grandi strutture di vendita.
3. Ai sensi dell’art. 10, comma 3 del decreto, l’ampliamento di superficie di una media struttura di vendita è sempre concesso qualora concorrono tutte le seguenti condizioni:
a. l’ampliamento avvenga per concentrazione o accorpamento di esercizi commerciali, già autorizzati ai sensi dell’art. 24 della legge 11 giugno 1971, n. 426 per generi di largo e generale consumo, conteggiati per il valore di 90 mq. o 150 mq. ciascuno, a seconda della classe di appartenenza del Comune, o per la superficie effettiva, se maggiore;
b. l’ampliamento non superi i limiti dimensionali massimi previsti per il tipo di media struttura interessata, M1 o M2, in relazione alla classe di appartenenza del Comune;
c. la domanda sia accompagnata da impegno di reimpiego del personale già operante negli esercizi commerciali da concentrare o accorpare.
4. Ai sensi dell’art. 10, comma 3, del decreto, l’autorizzazione all’apertura di una media struttura di vendita di tipo M1 è rilasciata, qualora sia frutto di accorpamento o concentrazione di più esercizi, già autorizzati ai sensi della legge 11 giugno 1971, n. 426, per generi di largo e generale consumo, esistenti da almeno un triennio, sempre che la somma delle superfici cessate sia pari ad almeno il 100 per cento della superficie di vendita della nuova struttura, o ad almeno il 70 per cento in caso di reimpiego del personale, conteggiate per il valore di 90 mq. o 150 mq. ciascuno, a seconda della classe di appartenenza del Comune, o per la superficie effettiva, se maggiore.
5. L’ampliamento della superficie di vendita delle medie strutture è sempre concesso nel limite del 10 per cento biennale in più per la tipologia M1 e del 5 per cento biennale in più per la tipologia M2. L’incremento è concesso per non più di due bienni e sempre che non venga superato il limite minimo della categoria G1.
6. E’ in facoltà dei Comuni prevedere, quale condizione o titolo di priorità per l’acquisizione di autorizzazioni per medie strutture di vendita, il reimpiego del personale, autonomo o dipendente, operante in esercizi di vicinato accorpati o comunque entro un’area di attrazione determinata dal Comune.
7. La trasformazione di medie strutture di vendita dall’una all’altra delle tipologie M1, M2 ed eventuali suddivisioni di quest’ultima è di esclusiva spettanza dei Comuni.
8. E’ in facoltà dei Comuni prevedere apposite disposizioni di favore o di semplificazione procedurale per l’aggiunta di settore merceologico alle medie strutture di vendita che siano in attività da almeno tre anni.
Art. 21
(Interventi per la valorizzazione dei centri storici)
1. Ai fini di preservare, rilanciare e potenziare la funzione tipica del commercio nel centro storico ed il suo ruolo di polo primario di aggregazione della vita sociale, i Comuni, entro 8 mesi dall’entrata in vigore della presente legge, si dotano di uno strumento di intervento per il centro storico, previo espletamento della procedura di cui all’art. 19, comma 2, integrato con le specifiche misure di agevolazione tributaria e di sostegno finanziario di cui all’art. 10, comma 1, lettera b) del decreto.
2. Lo strumento può essere articolato come:
a. specifico strumento di gestione del fenomeno distributivo nel centro storico;
b. sezione specifica, allegata al piano per le medie strutture di vendita;
c. componente di un intervento pluridisciplinare o progetto integrato o piano d’area nel quale più problematiche del centro storico vengono contestualmente affrontate.
3. Lo strumento di intervento di cui al comma 1, previa ricognizione ed approfondimento delle problematiche della distribuzione commerciale nel centro storico e delle interrelazioni esistenti con le altre componenti territoriali, economiche e sociali, detta specifici criteri di sviluppo, potenziamento e rivitalizzazione della distribuzione, avendo come obiettivo la crescita, ricambio e diversificazione delle attività, in raccordo con gli strumenti urbanistici comunali.
Art. 22
(Modalità degli interventi)
1. I Comuni, per le finalità di cui all’art. 21, possono:
a. sottoporre le comunicazioni di apertura degli esercizi di vicinato alle procedure di valutazione di impatto di cui all’articolo 23;
b. esonerare in tutto o in parte dagli obblighi di concentrazione, accorpamento o reimpiego del personale per l’apertura di medie strutture di vendita o disporre altri incentivi, anche fiscali o tariffari, per la nascita della piccola e media distribuzione, compresa la possibilità di insediamento delle medie strutture di tipo M2 anche in assenza dello strumento previsto all’art. 19;
c. disporre la temporanea intrasferibilità delle nuove attività sorte nel centro storico, per periodi non superiori a 3 anni dal loro insediamento;
d. differenziare le attività commerciali e la relativa disciplina giuridica con riferimento a specifiche classificazioni di carattere dimensionale, merceologico ovvero, previa intesa con le rappresentanze di categoria degli operatori, qualitativo, sempre che ciò contribuisca ad un ampliamento di opportunità di insediamento nel centro storico;
e. disporre il divieto di vendita di determinate merceologie, qualora questa costituisca un grave ed evidente contrasto con la tutela di valori artistici, storici o ambientali;
f. rinnovare o confermare, con o senza modificazioni, esclusivamente per le finalità di cui alle lettere d) ed e), eventuali disposizioni programmatorie disposte per il centro storico ai sensi dell’art. 4 del decreto legge 9 dicembre 1986 n. 832, convertito con legge 6 febbraio 1987 n. 15, le cui facoltà di intervento debbono considerarsi interamente comprese ed ampliate dalle presenti disposizioni;
g. subordinare alla previa realizzazione di iniziative commerciali specifiche nel centro storico, l’utilizzazione di opportunità previste in altre parti del territorio;
h. stabilire, per un periodo di tempo non superiore a 2 anni dall’approvazione dello strumento, contenuti limiti di superficie minima per ristrette categorie di esercizi la cui eccessiva presenza al centro storico risulti di comprovato ostacolo alla mobilità e ricambio della rete distributiva;
i. stabilire priorità o obblighi di contestualità di realizzazione di iniziative;
j. prevedere particolari agevolazioni per attività commerciali a carattere fortemente innovativo ed alternativo all’offerta esistente nonché a favore di iniziative, debitamente documentate, di commercio equo o solidale, gestito da organismi senza fini di lucro, formalmente riconosciuti;
k. esonerare in tutto o in parte gli esercizi dall’obbligo di chiusura domenicale o festiva;
l. esonerare in tutto o in parte gli esercizi dall’obbligo di chiusura infrasettimanale;
m. disciplinare l’apertura notturna degli esercizi in modo più ampio rispetto al resto del territorio;
n. stabilire disposizioni in materia di arredo urbano e di razionalizzazione degli edifici.
2. Al fine di perseguire una reale integrazione dell’offerta commerciale tra centro storico e periferia, evitando bruschi mutamenti della disciplina giuridica e l’insorgere di rendite da posizione, il centro storico può essere suddiviso in due o più fasce contigue o concentriche nelle quali l’uso degli strumenti di indirizzo di cui al comma 1 è disposto con criteri di gradualità.
3. I Comuni che alla data di entrata in vigore della presente legge risultino già dotati di strumenti analoghi a quello previsto dall’art.21 possono procedere alla loro integrazione, adeguamento o semplice riconferma nei termini indicati al comma dello stesso articolo.
4. Limitatamente alle aree o agli edifici aventi valore storico, archeologico, artistico ed ambientale non ubicati nel centro storico, i Comuni possono disporre vincoli di carattere dimensionale, merceologico o tipologico agli insediamenti delle attività commerciali, nei limiti strettamente necessari alle esigenze di tutela.
5. Le disposizioni dell’art. 21 e quelle di cui al presente articolo possono essere estese dai Comuni ai centri storici delle principali frazioni e dei nuclei minori.
Art. 23
(Valutazione d’impatto commerciale)
1. I Comuni, ai sensi dell’art. 10, comma 1, lettera c) del decreto, fino alla data del 24 aprile 2001, salvo proroghe disposte dalla normativa nazionale, possono sottoporre a valutazione di impatto commerciale le comunicazioni di apertura degli esercizi di vicinato, sospendendone o inibendone gli effetti, nel rispetto dei criteri di cui ai commi seguenti.
2. In conformità a quanto disposto dall’art. 10, comma 1, lettera c) del decreto, possono essere sottoposte a valutazione di impatto esclusivamente le comunicazioni concernenti:
3. Ai fini della valutazione di impatto, di cui al presente articolo, è equiparato all’apertura di nuovo esercizio il trasferimento da altra zona.
4. In conformità a quanto disposto dall’art. 10, comma 3, lettera c) del decreto, la valutazione di impatto del nuovo esercizio è effettuata con riferimento all’apparato distributivo già esistente, al tessuto urbano o a programmi di qualificazione della rete commerciale, compresi gli strumenti previsti nei presenti indirizzi, ed è finalizzata a conseguire il passaggio graduale alla disciplina prevista dal decreto. A tal fine i Comuni provvedono a disporre un graduale allentamento dei vincoli di insediamento delle attività commerciali, articolato per tappe temporali, così da evitare un repentino effetto di liberalizzazione allo scadere del termine di cui al comma 1.
5. Per tessuto urbano, ai fini del precedente comma, si intendono le attività economiche, residenziali ed i servizi di diretto interesse per la rete distributiva.
6. Al fine di conseguire la massima trasparenza e semplificazione del procedimento amministrativo, i Comuni che intendono attivare la procedura di impatto provvedono a definirne i presupposti e gli elementi necessari affinché gli interessati possano procedere in proprio ad effettuare la prevista valutazione d’impatto ed autocertificarne l’esito, in conformità a quanto disposto all’art. 7, comma 2, lettera d) del decreto, ferma restando la successiva verifica della correttezza ad opera del Comune nel termine di 30 giorni ivi previsto.
Art. 24
(Progetti integrati di rivitalizzazione delle realtà minori)
1. I Comuni possono dotarsi di un progetto integrato di rivitalizzazione delle frazioni o altre aree di interesse del proprio territorio aventi popolazione inferiore a 3000 abitanti e poste in posizione isolata dal capoluogo comunale, ai sensi dell’art. 10, comma 1, lettera a) del decreto.
2. Il progetto di cui al comma 1 prevede gli interventi più idonei a conseguire la rivitalizzazione del servizio distributivo ed almeno la permanenza di quello di prima necessità nelle aree di minore interesse commerciale, anche in deroga agli altri strumenti di indirizzo commerciale di cui il Comune è dotato; può inoltre prevedere la creazione di centri polifunzionali di servizi, tenuto conto dei punti di maggiore richiamo o transito autoveicolare. Il progetto è approvato previo esperimento della procedura partecipativa di cui all’art.19, comma 2.
3. Per centri polifunzionali di servizi, ai sensi delle presenti disposizioni, si intendono un esercizio commerciale, o più esercizi in unica struttura o complesso, cui si associano almeno altri quattro servizi, autonomamente configurati o inseriti nell’esercizio o negli esercizi stessi tra quelli individuati nel Regolamento di cui all'art. 49.
4. Nei centri polifunzionali di servizi possono essere rilasciate dai Comuni autorizzazioni alla somministrazione di alimenti e bevande o alla vendita di giornali e riviste, in deroga ad eventuali vincoli di natura commerciale discendenti dalla normativa comunale o regionale, dando comunque priorità agli operatori esistenti che intendano trasferire la loro attività. Nei centri possono essere disposti esoneri dai tributi locali.
5. E’ in facoltà dei Comuni prevedere l’intrasferibilità di attività dai centri polifunzionali di servizi, per un periodo non superiore a tre anni dalla loro apertura. In ogni caso, qualora decorso detto termine, un pubblico esercizio di somministrazione di alimenti e bevande si trasferisca al di fuori del centro polifunzionale, lo stesso non può essere reintegrato con la procedura di cui al comma 4.
6. Qualora nel Comune già esistano spontanei addensamenti di servizi o attività, che, tenuto conto dell’afflusso di persone e della collocazione, già parzialmente assolvano alle funzioni di servizio di cui al presente articolo, i centri polifunzionali di servizi sono creati mediante il loro potenziamento.
7. In deroga al disposto del comma 1, i Comuni appartenenti alla classe IV possono istituire centri polifunzionali di servizi anche nel capoluogo comunale.
TITOLO III
ORARI DI VENDITA
Art. 25
(Orari delle attività commerciali)
1. I Comuni, nell’ambito dei poteri di cui all’art. 36 della legge 8 giugno 1990, n. 142 ed ai sensi degli artt.11 e seguenti del decreto, disciplinano gli orari di tutte le attività di vendita al dettaglio, anche in modo differenziato. In assenza di specifiche disposizioni, a tutte le attività di vendita al dettaglio si applicano quelle previste per gli esercizi commerciali al dettaglio in area privata.
2. Gli orari delle attività commerciali debbono rispondere alla finalità di massimo servizio per il consumatore, nel rispetto delle norme e delle relazioni sindacali in materia di lavoro dipendente e di tutela della qualità della vita degli operatori, con particolare riferimento alla piccola impresa a conduzione familiare.
3. Il centro commerciale, come definito all’art. 4, comma 1, lettera g) del decreto, effettua un orario unico ed eventuali chiusure uniche per tutte le attività commerciali artigianali e di servizi in esso presenti, stabilito sulla base della merceologia prevalente nel centro stesso.
4. Le rivendite di generi di monopolio che, oltre a questi, vendono esclusivamente i prodotti previsti nella relativa tabella speciale, seguono i turni e gli orari di apertura previsti dalla specifica normativa sulle rivendite.
5. Ai sensi dell’art. 11 comma 2 del decreto, nell’ambito della fascia oraria 7.00-22.00 ciascun operatore sceglie il proprio orario di apertura, per un massimo di 13 ore giornaliere, con o senza interruzioni, il cui rispetto deve intendersi come divieto di apertura anticipata o di chiusura posticipata. La scelta è comunicata al Comune e ne viene data conoscenza al consumatore mediante apposito cartello o altro mezzo equipollente. L’orario scelto può essere variato con cadenza non inferiore a 30 giorni.
6. L’orario è inteso come facoltà e non obbligo di apertura, fatta salva l’applicazione di quanto disposto dall’art. 22, comma 4 lettera b) e comma 5 lettera a) del decreto.
7. I Comuni possono consentire l’apertura notturna per una percentuale di esercizi non superiore al 5 per cento a livello di intero territorio comunale o, per i Comuni delle classi I e II, a livello di zona. Gli operatori interessati inoltrano istanza in carta semplice al Comune che procede a definire le turnazioni sulla base di apposita ordinanza che stabilisce altresì, tempi, criteri, modalità e caratteristiche.
8. I Comuni possono intervenire eccezionalmente per rimuovere gravi disservizi causati da ferie, anche organizzando servizi alternativi, ovvero promovendo accordi tra le rappresentanze degli operatori, consumatori e lavoratori dipendenti per la definizione di scaglionamenti e turnazioni.
Art. 26
(Comuni a prevalente economia turistica e città d’arte)
1. La libertà di determinazione senza vincoli degli orari di vendita da parte degli operatori, di cui all’art. 12 del decreto, si applica:
a. ai Comuni a prevalente economia turistica o città d’arte, relativamente alle zone del territorio aventi tali caratteristiche e nei periodi di maggiore afflusso turistico;
b. ai centri storici dei Comuni dell’Umbria, qualora detti centri siano riconosciuti dai Comuni, nell’apposito strumento di cui all’art. 21, come zone a prevalente economia turistica o ricche di patrimonio artistico ed entro i limiti temporali eventualmente stabiliti dai Comuni stessi;
c. in tutti i centri storici dei Comuni dell’Umbria nel periodo pasquale e nei mesi, non superiori a tre, scelti dai Comuni.
2. Al fine di quanto previsto alla lettera a) del comma 1 le zone del territorio aventi economia prevalentemente turistica o ricche di patrimonio artistico sono incluse in apposito elenco predisposto dalla Giunta regionale, in attuazione dell’art. 12, comma 3, del decreto, su proposta dei Comuni interessati, entro 180 giorni dall’entrata in vigore della presente legge. L’elenco è predisposto tenuto conto dei seguenti criteri:
a. rapporto tra popolazione residente, numero di posti letto, numero delle presenze turistiche, numero di strutture di ristorazione e ricettive e relativo dato occupazionale e loro valore assoluto;
b. attrattività presenti nel territorio, in termini di patrimonio naturalistico, storico-artistico e di fruizione del tempo libero;
c. presenza di manifestazioni di richiamo.
3. La traduzione in parametri numerici dei criteri di cui al comma 2 è deliberata dalla Giunta regionale, sentita la competente Commissione Consiliare Permanente.
4. Gli accordi per assicurare all’utenza idonei livelli di servizio e di informazione nei Comuni e nelle zone di cui al comma 3, previsti all’art. 12, comma 2 del decreto, hanno ad oggetto l’autoregolamentazione degli orari e di eventuali chiusure, anche per mezzo di turni. Tali accordi sono promossi, in particolare, nei Comuni superiori a 5.000 abitanti.
Art. 27
(Chiusura domenicale, festiva ed infrasettimanale)
1. Ai sensi dell’art. 11, comma 4, del decreto, gli operatori effettuano la chiusura totale degli esercizi nei giorni domenicali e festivi, fatta eccezione per quanto disposto all’art. 26.
2. Ai fini di conseguire una maggiore uniformità a livello regionale, la mezza giornata di chiusura infrasettimanale, facoltativamente disposta dai Comuni ai sensi dell’art. 11, comma 4, del decreto deve coincidere con il lunedì mattina, il giovedì pomeriggio o il sabato pomeriggio.
3. Onde garantire un approvvigionamento ininterrotto all’utenza nell’arco dell’intera settimana, è in facoltà dei Comuni di:
a. prevedere che, per lo stesso settore merceologico, la chiusura infrasettimanale possa essere effettuata in uno o altro dei giorni indicati, anche, qualora se ne ravvisi l’opportunità, sulla base di apposite turnazioni;
b. prevedere che, per lo stesso settore merceologico, la chiusura infrasettimanale avvenga in un giorno in alcune zone e in altro giorno in altre zone.
4. In ogni caso qualora nell’arco della settimana vi siano altre festività, non sussiste obbligo di chiusura infrasettimanale.
5. Le determinazioni di cui al comma 3, sono assunte previo parere obbligatorio e non vincolante delle associazioni di categoria degli operatori, dei consumatori e dei lavoratori dipendenti maggiormente rappresentative a livello locale o, in assenza provinciale.
6. Ferme restando le disposizioni particolari per i centri storici e le altre aree di interesse turistico o artistico nonché per il mese di dicembre, la facoltà dei Comuni di esonero dalla chiusura domenicale e festiva, di cui all’art. 11, comma 5, del decreto, non può superare le ulteriori 8 domeniche o festività annue. Sono esclusi dalla deroga i giorni del 1° gennaio, 6 gennaio, 25 aprile, 1° maggio, domenica di Pasqua, 25 e 26 Dicembre. Il divieto di deroga si estende anche al lunedì di Pasqua, salvo che per i centri storici e le altre aree di interesse turistico o artistico.
7. I Comuni, su conforme parere delle Associazioni degli imprenditori, dei lavoratori dipendenti e dei consumatori, possono stabilire che nei giorni festivi in cui è ammessa l’apertura, questa riguardi un numero limitato di esercizi sulla base di apposite turnazioni.
Art. 28
(Disposizioni speciali)
1. Ai fini dell’applicazione dell’art. 13, comma 1, del decreto, per esercizi specializzati si intendono quelli che trattano uno o più prodotti ivi indicati su una superficie di vendita pari ad almeno l’80 per cento della superficie di vendita totale.
2. Al fine di quanto previsto all’art. 13, comma 2, del decreto in materia di approvvigionamento di prodotti alimentari in caso di festività consecutive, gli operatori commerciali del settore alimentare possono aprire gli esercizi nei giorni festivi successivi al primo, con orario fino alle ore 13.00.
TITOLO IV
OFFERTA DI VENDITA
Art. 29
(Vendite di liquidazione)
1. L’operatore che intenda effettuare una vendita di liquidazione, così come definita dall’art. 15, comma 2, del decreto, deve darne comunicazione al Comune, con lettera raccomandata con avviso di ricevimento, almeno 15 giorni prima della data in cui deve avere inizio. La comunicazione deve contenere:
a. in caso di liquidazione per cessazione dell’attività commerciale, dichiarazione di cessazione all’attività;
b. in caso di liquidazione per la cessione d’azienda, copia dell’atto pubblico o scrittura privata registrata;
c. in caso di liquidazione per trasferimento in altri locali, copia della comunicazione di trasferimento, se trattasi di esercizi di vicinato, ovvero dell’autorizzazione negli altri casi, unitamente a prova della disponibilità dei nuovi locali;
d. in caso di liquidazione per trasformazione o rinnovo locali, dichiarazione di esecuzione dei lavori per un importo non inferiore a 100.000 lire, IVA esclusa, a metro quadrato, fino ad un valore di 10 milioni, da comprovare successivamente con copia delle fatture, oppure per lavori comportanti una sospensione dell’attività per almeno 20 giorni;
e. per tutti i tipi di vendita di liquidazione, l’ubicazione dei locali in cui deve essere effettuata, che in caso di trasferimento sono quelli di provenienza, la data di inizio e di fine della vendita, le merci oggetto della stessa.
2. Le vendite di liquidazione possono essere effettuate in tutto l’anno per una durata massima di sei settimane; nei casi di cui alle lettere a) e b) del comma 1, la durata massima è di 13 settimane.
3. Durante le vendite di liquidazione è vietato introdurre nei locali ulteriori merci oggetto di liquidazione.
Art. 30
(Vendite di fine stagione o saldi)
1. Ai fini dell’art. 15, comma 3, del decreto, per prodotti a carattere stagionale o di moda, suscettibili di deprezzamento se non venduti entro un certo periodo di tempo, si intendono:
a. i generi di vestiario e abbigliamento in genere;
b. gli accessori dell’abbigliamento e la biancheria intima;
c. le calzature, pelletterie, gli articoli di valigeria e da viaggio;
d. gli articoli sportivi;
e. articoli di elettronica;
f. le confezioni ed i prodotti tipici natalizi e pasquali, al termine del periodo natalizio e pasquale.
2. I Comuni possono estendere l’elenco dei prodotti di cui al comma 1, sulla base di valutazione degli usi locali, sentite le Associazioni di categoria degli operatori commerciali.
3. La vendita di fine stagione, quale che sia l’estensione merceologica dell’autorizzazione, concerne esclusivamente i prodotti di cui al comma 1 ed eventualmente quelli di cui al comma 2. A tal fine gli esercenti provvedono, durante il periodo di saldo, a separare nettamente i prodotti oggetto della vendita straordinaria da quelli che sono venduti al prezzo ordinario.
4. L’esercente che intende effettuare una vendita di fine stagione o saldo deve darne comunicazione al Comune, almeno 15 giorni prima, contenente:
a. l’indicazione dei prodotti oggetto della vendita;
b. la sede dell’esercizio;
c. l’indicazione delle modalità di separazione dei prodotti posti in vendita di fine stagione, da tutti gli altri.
5. Le vendite di fine stagione o saldi debbono essere presentate al pubblico come tali.
6. Il periodo di effettuazione dei saldi viene disciplinato con il Regolamento di cui all’art. 49.
Art. 31
(Vendite promozionali)
1. Le vendite promozionali di prodotti indicati nell’art. 30, comma 1, lettere a), b), c) e d) possono essere effettuate esclusivamente nei seguenti periodi:
o 1 ottobre – 30 novembre
o 1 aprile – 31 maggio.
2. Le vendite promozionali di altri prodotti possono essere effettuate in qualsiasi momento dell’anno, con preavviso al Comune di almeno 15 giorni.
3. Le vendite promozionali hanno durata non superiore a giorni 30 e non possono susseguirsi l’una all’altra nel medesimo punto di vendita se non decorse almeno tre settimane; delle stesse è dato previo avviso al Comune.
4. Le vendite promozionali di prodotti alimentari, di casalinghi ed altri prodotti per la casa, l’igiene e la pulizia non sono sottoposte ad alcuna formalità, né ai limiti temporali di cui al comma 2.
TITOLO V
OSSERVATORIO REGIONALE DEL COMMERCIO
Art. 32
(Finalità)
1. In attuazione dell’art. 6, comma 1, lettera g), del decreto è istituito l’Osservatorio regionale del commercio con sede presso l’Assessorato regionale al commercio.
2. L’Osservatorio regionale, ha la finalità di:
a. realizzare un Sistema informativo della rete distributiva, avvalendosi dei Comuni e del sistema camerale;
b. valutare l’andamento delle problematiche della distribuzione commerciale nella regione, con particolare riguardo ai processi derivanti dall'entrata in vigore del decreto;
c. fornire le basi conoscitive per la programmazione regionale nel settore del commercio;
d. valutare il grado di attuazione e l’efficacia degli interventi regionali in materia di commercio;
e. fornire a tutti i soggetti interessati i dati e le elaborazioni per una migliore conoscenza del settore della distribuzione commerciale, nel rispetto delle disposizioni in materia di riservatezza delle informazioni.
Art. 33
(Composizione e compiti)
1. L’Osservatorio regionale è composto da:
o l’Assessore regionale al commercio, che lo presiede;
o sei membri in rappresentanza dei Comuni, designati dall’Anci regionale;
o due membri, designati dall’U.P.I. regionale;
o due membri designati dall’Unione Regionale delle Camere di Commercio;
o cinque membri designati dalla Confcommercio dell’Umbria;
o due membri designati dalla Confesercenti;
o due membri designati dalla Lega delle Cooperative dei dettaglianti e dei consumatori;
o un membro designato dall’Unione delle Cooperative;
o cinque membri designati a rotazione dalle Associazioni dei Consumatori iscritte all’Albo;
o tre membri designati dai Sindacati dei lavoratori dipendenti maggiormente rappresentativi a livello regionale.
2. Le organizzazioni degli enti locali e delle categorie rappresentate curano che la composizione delle proprie rappresentanze sia articolata e rappresentativa, sia a livello territoriale, sia in ordine alle proprie componenti interne.
3. I componenti dell’Osservatorio sono nominati con decreto del Presidente della Giunta regionale e restano in carica per la durata della legislatura regionale.
4. L’Osservatorio predispone un programma annuale che è approvato dalla Giunta regionale e comunicato alla competente Commissione del Consiglio regionale. Per l’organizzazione delle proprie attività l’Osservatorio si avvale dei Comuni e del Sistema camerale ai sensi dell’art. 6, comma 1 lettera g) del decreto e, per compiti specifici, può anche avvalersi della collaborazione di terzi, sulla base di apposite convenzioni.
5. Il Sistema informativo regionale del commercio deve consentire la valutazione della consistenza e delle caratteristiche strutturali e funzionali della rete distributiva al dettaglio, la comparazione del fenomeno distributivo tra le varie parti del territorio e con la rete distributiva nazionale, nonché la valutazione delle variazioni intervenute nel tempo e dei principali processi in atto.
6. Nell’ambito del Sistema informativo si costituisce una banca dati regionale, in collegamento anche con il S.I.T.E.R. di cui alla legge regionale 21 ottobre 1997, n. 31, nella quale confluiscono i dati e le informazioni dei Comuni, del Registro delle Imprese e del Repertorio economico e amministrativo presenti presso le Camere di Commercio. A tal fine l’Osservatorio regionale promuove l’informatizzazione della gestione dei dati relativi al commercio da parte dei Comuni.
7. Le modalità di organizzazione e funzionamento dell’Osservatorio regionale, del Sistema informativo e della Banca dati regionale ed ogni altro aspetto regolamentare sono definiti dalla Giunta regionale.
TITOLO VI
ASSISTENZA TECNICA, PROMOZIONE E SVILUPPO DELL’APPARATO DISTRIBUTIVO
Art. 34
(Centri di assistenza tecnica)
1. Per l’attuazione dell’art. 23 del decreto il Regolamento di cui all'art. 49 definisce e individua:
a. le modalità di autorizzazione regionale ai sensi e per gli effetti dell’art. 23, comma 1 del decreto;
b. le attività dei centri ammessi a finanziamento con il fondo di cui all’art. 16, comma 1 della legge 7 agosto 1997, n. 266 ed i criteri per la quantificazione dei finanziamenti;
c. le Associazioni di categoria maggiormente rappresentative cui è demandata la costituzione dei Centri di Assistenza Tecnica;
d. ogni altra disposizione necessaria alla istituzione e funzionamento dei Centri di Assistenza Tecnica.
Art. 35
(Attività promozionali)
1. La Regione dell’Umbria assume iniziative di promozione del comparto commerciale, con particolare riguardo:
a. allo sviluppo dell’innovazione ed all’introduzione di sistemi di controllo di qualità;
b. al commercio elettronico;
c. alle problematiche connesse al mercato ed alla moneta unica europea;
d. alla valorizzazione delle produzioni tipiche regionali.
TITOLO VII
NORME FINALI E TRANSITORIE
Art. 36
(Termine delle domande concorrenti)
1. Ai fini delle priorità di cui all'art. 14 in fase di prima applicazione della presente legge, sono considerate concorrenti le domande presentate entro il mese successivo a quello dell’entrata in vigore della legge medesima.
Art. 37
(Proroga dei termini dell’attivazione delle grandi strutture di vendita)
1. La procedura prevista all’art. 18 della presente legge si applica anche alle richieste di proroga del termine di 24 mesi, di cui all’art. 22, comma 4, del decreto, per l’attivazione delle grandi strutture di vendita, comprese quelle non ancora attivate alla data di entrata in vigore della presente legge ed oggetto di provvedimenti di proroga.
Art. 38
(Riduzione dei limiti dimensionali minimi delle medie strutture di vendita)
1. Ai sensi dell’art. 10, comma 4, del decreto, i Comuni delle classi I e II, al fine di evitare la desertificazione commerciale delle aree rurali, montane o comunque di disagio commerciale, possono stabilire che nelle stesse, per un periodo massimo di due anni a decorrere dall’entrata in vigore della presente legge, i limiti dimensionali minimi delle medie strutture di vendita vengano ridotti a 150 mq.
2. La riduzione di cui al comma 1 in nessun caso può interessare il capoluogo e le principali frazioni del Comune.
Art. 39
(Promozione delle medie strutture di vendita)
1. Il rilascio di autorizzazioni all’apertura, trasferimento, ampliamento merceologico o di superficie, accorpamento di medie strutture di vendita di tipo M2 è sospeso sino a quando i Comuni non abbiano provveduto a quanto disposto dagli artt. 19 e 21.
2. Fino alla scadenza del termine di cui all’art. 19, comma 1, non possono essere rilasciate autorizzazioni per l’apertura di nuove medie strutture di vendita, salvo il caso in cui le stesse siano frutto della concentrazione o accorpamento di più esercizi, ai sensi dell’art. 20, comma 3.
3. Qualora il Comune non ottemperi a quanto disposto dall’art. 19, comma 1 nel termine ivi previsto, il rilascio delle medie strutture di vendita di tipo M1 non può superare una percentuale, rispetto alla rete esistente, come definita nel Regolamento.
Art. 40
(Interventi di valorizzazione per il centro storico)
1. Qualora il Comune non ottemperi a quanto disposto dall’art. 21, nel termine ivi previsto al comma 1, e sino a quando non vi abbia provveduto, nel centro storico:
a. nessun vincolo di natura commerciale può essere imposto all’apertura, ampliamento, trasferimento di esercizi di vicinato e medie strutture di vendita di tipo M1;
b. nessuna valutazione di impatto può essere effettuata, ai sensi dell’art. 10, comma 3, lettera c) del decreto.
2. I provvedimenti adottati dai Comuni nei centri storici ai sensi del decreto legge 9 dicembre 1986, n. 832, convertito con legge 6 febbraio 1987, n. 15 conservano piena validità per tutto il periodo compreso tra l’entrata in vigore della presente legge e l’emanazione dello strumento di cui all’art. 21.
Art. 41
(Modificazioni alla legge regionale 21 ottobre 1997, n. 31)
1. Alla legge regionale 21 ottobre 1997, n. 31 sono apportate le seguenti modifiche:
a. l’art. 24, comma 1, è così sostituito: 'L’approvazione del piano attuativo nonché il rilascio delle concessioni e delle autorizzazioni edilizie relative a grandi strutture di vendita, di cui all’art. 4, comma 1, lettera f) del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, sono subordinati alla preventiva acquisizione dell’autorizzazione amministrativa di cui all’art. 9 del decreto suddetto.';
b. l’art. 24, comma 2, è così modificato: 'L’espressione del parere del Comune, nell’ambito della Conferenza di servizi di cui all’art. 9 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, avviene sentita la commissione edilizia, ai fini del rispetto delle norme urbanistiche di quelle relative alla destinazione d’uso degli edifici e dei regolamenti locali.';
c. l’art. 26, comma 2 è sostituito dal seguente:
'La dotazione minima di cui al comma 1, è destinata a parcheggio escluse le sedi viarie in misura non inferiore al 30 per cento e non superiore all’80 per cento in relazione all’ubicazione e alla tipologia di vendita. Per insediamenti commerciali la cui superficie di vendita è superiore a mq. 5.500, deve essere comunque prevista la dotazione minima, comprensiva dei parcheggi di cui al comma 2 dell’art. 2 della legge 24 marzo 1989, n.122, di un posto auto ogni 6 mq. di superficie di vendita per gli esercizi del solo settore alimentare e per gli esercizi di settore alimentare e non alimentare e, di un posto auto ogni 11 mq. di superficie di vendita, per gli esercizi del solo settore non alimentare.';
d. all’art. 26 è aggiunto il seguente comma:
'6. I Comuni, nei propri strumenti urbanistici, possono stabilire, relativamente ai soli esercizi di vicinato ubicati nei centri storici individuati nell’apposito strumento di promozione, l’esenzione, totale o parziale, dagli standards di cui al comma 1.';
e. all’art. 27, comma 1, le parole 'di cui all’articolo 24 della legge 11 giugno 1971, n. 426' sono soppresse;
f. all’art. 29, comma 1, l’inciso 'sottoposti a nulla osta ai sensi dell’articolo 24, comma 1,' è sostituito con: 'costituiti da grandi superfici di vendita,'.
Art. 42
(Prima nomina componenti Osservatorio regionale)
1. Il Presidente della Giunta regionale provvede alla nomina dei componenti dell’Osservatorio regionale del commercio entro sessanta giorni dalla data di approvazione della presente legge, sulla base delle designazioni di cui all’art. 33.
Art. 43
(Adempimenti preliminari dei Comuni)
1. Entro trenta giorni dall’entrata in vigore della presente legge i Comuni, al fine di garantire il rispetto dei termini temporali del decreto provvedono:
a. alla ricognizione dei principali dati e caratteristiche dell’apparato distributivo al dettaglio, con particolare riguardo alle medie strutture di vendita ed alla rete distributiva del centro storico;
b. alla ricognizione dello stato di informatizzazione della gestione dei dati e delle procedure relative al commercio, da comunicare all’Ufficio regionale del Commercio.
Art. 44
(Apertura di attività estemporanee)
1. Onde evitare il sorgere di attività estemporanee durante il solo periodo natalizio, con pregiudizio alle politiche di riqualificazione della rete, i Comuni anche in sede di valutazione di impatto commerciale, possono disporre la sospensione degli effetti delle comunicazioni di apertura degli esercizi per il periodo compreso tra il 15 novembre ed il 15 gennaio. L’apertura può essere effettuata dagli interessati solo decorso detto periodo.
2. La disposizione di cui comma 1 non si applica per la vendita di prodotti tipicamente e specificamente natalizi indicati dai Comuni stessi, quali addobbi, alberi di Natale e simili.
Art. 45
(Orari di vendita)
1. Fino a quando la Giunta regionale non avrà provveduto alla formulazione dell’elenco di cui all’art. 26, comma 2, del presente provvedimento continuano ad applicarsi le disposizioni comunali emanate in attuazione delle previgenti norme in materia di orari di vendita e di apertura e chiusura degli esercizi.
Art. 46
(Corsi qualificanti per il settore alimentare)
1. Fino a quando il Consiglio regionale non avrà disciplinato l’attività formativa relativa ai corsi qualificanti per il settore alimentare ai sensi dell’art. 5, comma 7 del decreto, il requisito professionale per l’esercizio dell’attività di commercio relativa al settore merceologico alimentare, è conseguito mediante il superamento di un esame sulla base di modalità fissate dalla Giunta regionale che potrà avvalersi delle Camere di Commercio o di enti di formazione di emanazione di Associazioni di categoria.
Art. 47
(Sanzioni)
1. La sanzione amministrativa prevista dall’art. 22 comma 3 del decreto, si applica anche nei seguenti casi:
a. violazione del divieto di cui alla lettera e) del comma 1 dell’art. 22 con ordine di immediata cessazione della vendita delle merceologie proibite;
b. violazione dell’art. 25 commi 1, 3, 4, 5;
c. violazione dell’art. 29 comma 1, anche nel caso di mancata integrazione, nel termine assegnato, della documentazione richiesta, e comma 3;
d. violazione dell’art. 30 comma 3, limitatamente alla mancata separazione delle merci, e commi 4 e 5;
e. violazione dell’art. 31 commi 1, 2 e 3.
2. In caso di particolare gravità e recidiva valutata ed accertata ai sensi dell’art. 22 comma 2 del decreto, può essere disposta la sospensione dell’attività nella misura in essa prevista.
3. Salvo quanto disposto dall’art. 22 del decreto, l’attività di vendita oggetto di comunicazione o autorizzazione è sospesa per un periodo non inferiore a sei mesi e non superiore ad un anno in caso di:
a. trasformazione delle strutture di vendita in violazione dei vincoli tipologici e di articolazione di cui all'art. 4;
b. apertura di un centro commerciale nelle forme e modi di cui all’art. 10, comma 2, senza l’autorizzazione di cui all’art. 10 comma 3;
c. mancato rispetto dell’art. 22, comma 1, lett. c) in materia di trasferimento di nuove attività dal centro storico;
d. violazione dei vincoli disposti per edifici di carattere storico, archeologico, artistico ed ambientale ai sensi dell’art. 22, commi 4 e 5;
e. apertura di esercizi di vicinato per il solo periodo natalizio, ove ne sia disposta la sospensione ai sensi dell’art. 23, comma 7;
f. trasferimento dai centri polifunzionali di servizi di cui all’art. 24, comma 5, ove sia disposta la temporanea intrasferibilità.
4. Qualora il soggetto nei cui confronti è stata disposta la sospensione non ottemperi al relativo provvedimento o vi ottemperi soltanto in parte o comunque non elimini la situazione che ha giustificato l’emanazione del provvedimento, si procede alla revoca dell’autorizzazione e comunque alla chiusura dell’esercizio.
5. I provvedimenti di irrogazione della sanzione amministrativa e di sospensione temporanea dell’attività, di revoca e di chiusura dell’esercizio, di cui al presente articolo, sono adottati dal sindaco del Comune in cui hanno avuto luogo le violazioni.
Art. 48
(Norma finanziaria)
1. Il concorso della Regione al funzionamento dell’Osservatorio di cui all’art. 32 della presente legge rientra negli interventi di cui al Titolo II della legge regionale 30 agosto 1988 n. 35. A tal fine il Cap. 5690 del bilancio regionale è incrementato per il corrente esercizio finanziario di lire 50.000.000.
2. Ai sensi del Titolo III della legge regionale 30 agosto 1988 n. 35 ed in deroga a quanto ivi previsto all’art. 6, comma 1, lettere a) e b) sono finanziabili gli strumenti predisposti dai Comuni in attuazione della presente legge. A tal fine il Cap. 9601 del bilancio regionale è incrementato per il corrente esercizio finanziario di lire 300.000.000.
3. Per le incentivazioni di cui agli artt. 20 e 21, con particolare riferimento all’innovazione e rilancio commerciale nei centri storici ed urbani, conseguentemente alla presente legge, il Cap. 5731 del bilancio regionale di cui alla legge regionale 3 aprile 1997 n.12 'Interventi di agevolazione finanziaria e per l’assistenza tecnica a favore delle piccole e medie imprese del commercio e dei servizi' è incrementato per il corrente anno finanziario di lire 200.000.000.
4. Agli oneri derivanti dal presente articolo di lire 550.000.000 per il 1999 la Regione fa fronte mediante la riduzione di pari importo al Cap. 9710 del bilancio di previsione 1999.
Art. 49
(Rinvio al regolamento)
1. Oltre a quanto previsto dagli artt. 9, 13, 30 e 34 della presente legge, il Consiglio regionale, entro 90 giorni dall’entrata in vigore della presente legge, adotta norme regolamentari concernenti gli aspetti operativi e di disciplina della attività di vendita.
La presente legge regionale sarà pubblicata nel Bollettino Ufficiale della Regione.
E’ fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge della Regione dell’Umbria.
Data a Perugia, addì 3 agosto 1999
BRACALENTE