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- CADICCHJ o Motta Cadicla Sancti Thomasi

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CADICCHJ

I LONGOBARDI

La loro invasione -anno 568 d.C.- diede inizio a un nuovo periodo storico italiano.

Anche l'Abruzzo e la conca Vestina li videro con terrore sul loro territorio. Negli anni 571-574 d.C. distrussero completamente Amiterno. Aveia scomparve per opera di Genserico tra il 410 e il 455 d.C. . Paganica li vide accamparsi nel suo abitato: la denominazione della località Fara (odierna piazza della concezione) lo conferma ; così la denominazione della contrada 'Case di Loth' o Casilotte come popolarmente è chiamata; così la transenna presbiteriale del sec. IX di cui abbiamo già detto.

Solo dopo la loro conversione al cattolicesimo fu possibile la ripresa della vita civica ed ecclesiastica nei secoli VII ed VIII. Le popolazioni fuggite sui monti tornarono alle loro case. La distrutta sede vescovile di Aveia fu sostituita da quella di Forcona elevata a tale dignità probabilmente nel sec. VIII sede che restò funzionante fino al 1257 col suo ultimo Vescovo Bernardo de Padula trasferitosi nella nuova sede vescovile della giovane città dell'Aquila, di cui fu il primo Vescovo.

FARE E VILLE PAGANICHESI

Le carte delle 'vedute' di Mattia Capponi disegnate nell'anno 1772 ci offrono una visione panoramica delle Ville che ancora a quell'epoca resistevano.

in realtà oltre che nella memoria dei documenti. Però non sono tutte, per cui crediamo di far cosa più grata presentanto un elenco più esatto:

VILLA S. GIUSTINO: comunità stanziata intorno all'antico tempio a Giove Capitolino sui cui ruderi sorse la Basilica di S. Giustino. Nel 1954 era curata dal cappelano d. Pietro Paolo Iuste di S. Maria Paganica

VILLA PAGANICO O LA FARA: sviluppatasi intorno al tempio dedicato a Giove Paganico, ricevette impulso dalla presenza longobarda che ne fece punto di riferimento per l'amministrazione e il dominio sul circondario. Nel 1594 era parroco-curato d. Giacomo Morellio.

VILLA S. BARTOLOMEO: dedicata al conpatrono di Paganica ebbe qualche rilevanza: fu parrocchia ed ebbe filiali nei casali circostanti. Nel 1331 fu unita dal Vescovo Acciaiuoli alla chiesa di S. Maria Paganica dell'Aquila ed il beneficio venne convertito in canonicato. Nel 1594 era cappellano d. Fabrizio De Ritiis.

VILLA S. PIETRO: tale villa, indicata in alcuni documenti anche col nome di 'Margine', è molto antica e comprendeva anche la vicina località di 'Casanova' e la chiesolina di S. Venanzio. Nell'anno 988 fu rivendicata dall'Abate Giovanni III quale tenimento dell'Abbazia di Farfa. Era centro di attività civile e religiosa testimoniata da alcuni ruderi di un antico monastero di religiose. Nel 1594 cappellano era d. Marco Antonio Margico.

VILLA S. ANDREA: l'antica parrocchia era posta lungo la strada che porta ai villaggi di Poggio Picenze e Barisciano, nell'anno 1331 fu aggregata dal vescova Acciaiuoli alla chiesa di S. Maria Paganica dell'Aquila ed il beneficio fu convertito in canonicato.

VILLA S. VITTORINO: posta fra ubertose terre era un casale di qualche rilevanza.

VILLA S. GREGORIO MAGNO: posto all'estremità del territorio paganichese è stato sempre considerato parte integrante del territorio di Paganica con la quale usufruiva dei pascoli montani di Campo Imperatore. Il Duca Di Costanzo ne fece un feudo personale abbellendo la chiesa parrocchiale nella cui balaustra dell'altare principale pose il suo stemma.

VILLA DELLE CASELLE: di origine remota sorgeva dove è il santuario della Madonna di Costantinopoli, tempio cimiteriale della frazione di S. Gregorio.

VILLA S. EUFEMIA: villa nominata nel 956 nel decreto di Ottone I° e posta nella strada di sette vasche, era una zona ricca di vigneti. Il suo nome compare ancora in molti documenti tra cui, nel 1178, nella bolla di Alessandro III che donava alcuni possedimenti al Vescovo di Forcona.

VILLA S. TOMMASO: elencate nel 1313 nelle decime di Pietro Sella era posta nelle vicinanze di Pontignone con tempio dedicato a S. Tommaso apostolo.

VILLA OFFIDO: posta ai piedi del monte CADICCHIO indicava soltanto una località dove, forse, fu sepolto provvisoriamente il corpo di S. Giustino.

VILLA S. GIUSTA o OFFIDO: è l'attuale Bazzano sviluppatosi lungo le pendici dell'omonimo monte per il divieto di costruire in pianura sullo spazio del tratturo. Qui fu martirizzata S. Giusta della famiglia Sipotina: nel posto e sui ruderi del tempio al dio Fidio fu eretta la basilica in onore della Santa Vergine.

VILLA S. ANGELO: nel 1759 esisteva ancora un tempio a S. Michele Arcangelo visitato da Mons. Ludovico Sabatini: al mantenimento della chiesolina contribuiva anche il duca Di Costanzo. Nel 1580 rettore era d. Pietro di Paolo Iuste.

VILLA S. CROCE: formò una comunità con chiesa parrocchiale anche se non è citata nell'elenco delle decime di Pietro Sella. Da reperti rinvenuti si presume l'importanza dell'insediamento umno dedito alla pastorizia documentata dai numerosi trulli di pietra a secco ancora oggi esistenti.

VILLA S. GREGORIO DE FORE O IN CAMPO (S. RIVORU): agglomerato urbano con tempio antichissimo e parrocchia con patrocinio della famiglia Nannicelli. Già nel 1313 pagava le decime al Vescovo dell'Aquila. Nei dintorni sono stati rinvenuti interessanti reperti di epoca romana. Nel 1594 cappellano era d. Pietro Grassetti.

VILLA SANTU TIZIU O S. EUTIZIO: posta tra ubertosi terreni era centro di un ricco 'pago' testimoniato dai resti di epoca romana venuti alla luce durante la costruzione di moderni fabbricati.

VILLA PERIGO: esistente intorno all'attuale edicola a S. Vincenzo Ferreri aveva il tempio, forse, dedicato a S. Nicola (De Genga?). Il nome della villa è menzionato con precisione in diversi atti notarili ( Villa Perigo di Paganica, atto di notar Mascio di Assergi in data 9-11-1359.

VILLA CASE DI LOTTE: è individuata come zona, solo il Capponi la chiama Villa il cui nome può derivare dal longobardo Loth. Sul posto erano insediamenti umani dediti all'agricoltura e case senza tempio religioso.

S. EUGENIO: nome non segnalato come Villa ma indicato dal mariani per un documento notarile segnalato dall'Antinori.

CASALE: villa, forse non esistita come tale, ma individuata come zona trascritta nei documenti notarili.

VILLA S. LIBERATO: con il tempio e le abitazioni era situata nella zona di Aquilentro: è menzionata in diversi atti notarili e l'esistenza è documentata da diverse tracce di antiche abitazioni ancora esistenti.

S. VIGARIOS: villa, forse non esistita come tale, ma indicata nel 1344 in un documento notarile letto dall'Antinori.

VILLA PIETRALATA: riportata con questo nome, nel 999 come possedimento dell'abbazia di Farfa , ha sfruttato le acque del Raiale in un mulino ancora esistente e chiuso nel 1988. Aveva chiesa dedicata a Gesù Salvatore eretta dalla famiglia Giusti e restaurata dal preposto della basilica di S. Giustino. Nel 1759 il beneficio fu aggregato alla chiesa madre di Paganica. Nel 1594 cappellano era d. Domenico Racciaccaris.

VILLA ROGE: nome pervenuto da alcuni atti notarili che non convalidano però l'esistenza di una Villa, ma presumibilmente soltanto di una zona.

VILLA INTERVERA: è da presumere che, per i mulini, le gualcherie e gli opifici ivi esistenti, il villaggio fosse strettamente legato a Paganica. Infatti a lungo seguì le sorti del comune del Moro, anche se anticamente vi erano interessi vari rivendicati persino dalla montana Comunità Religiosa Cistercense di Casanova, e, più lontano, dall'Abbazia di S Clemente a Casauria.

Questo testo è tratto dai libri 'Paganica attraverso i secoli' di don Ercolino Iovenitti e 'Paganica' di Giovanni Fiordigigli.

Paganica nel XVI° Secolo

La numerazione dei fuochi del Castrum Paganice nell'anno 1508

La grande mortalità causata dalla peste dell'anno 1478e la nuova necessità sociale apportata dai nuovi ordinamenti civici catastali, obbligarono le autorità governanti a procedere ad una nuova 'numerazione dei Fuochi' nel Regno. Anche la nostra Paganica fu soggetta a tale operazione catastale.

Il documento catastale della 'Numerazione dei Fuochi sec. XVI' è conservato nell'archivio di Stato dell'Aquila.

E' in questo volume manoscritto che è inserita anche la 'Numerazione dei Fuochi del Castrum Paganice' e precisamente dal foglio n.198 al foglio n.204. Gli ufficiali incaricati furono: Marco de Antonio de Nardo - Paschale de Tascioni - Bartholomeo de Ratillo - Dominicho de Santuccio

Il Castrum Paganice risultò numerato di 119 Fuochi, di seguito riportiamo a titolo di esempio la composizione di alcuni Fuochi per far capire come vennero compilate le numerazioni catastali nel secolo XVI, cioè indicando il capofamiglia (fuoco) e tutti i componenti, senza catastare i beni posseduti da ogni Fuoco, come invece fecero i catasti posteriori.

Fuoco n. 1

Micu de Cola Petriola de anni 60 et Antonina sua Moglie di anni 55 ha figli : Mario di anni 22 et Angelilla sua moglie di anni 15 sposata et Vincenzo di anni 24 et Maria sua moglie di anni 20 ha figli Francischa di anni 4

Fuoco n. 100

Paschale figlio de Rotillino de Mascio de Blasio de anni 35 morse so padre al morbo et Margherita soa moglie de anni 24 ha figli: Cola di anni 10. Antonio de anni 6. Et Berardino so frate de anni 24 et Rina soa Moglie de anni 20 ha figli: Iacopo de anni 3. Bartholomeo de anno uno et Patrignano so frate de anni 22. Et Bernardina soa moglie de anni 15 sposata. Vincenzo se Morse so anni 15

Fuoco n. 116

Cristofano de Rathiela de anni 56 et Pascha sua moglie de anni 45 ha figli Antonio de anni 25. Iohanne de anni 20. Maria de anni 15. Alexandra de anni 8. Vannuthia de anni 6

La numerazione dei Fuochi chiude con le firme di tutti gli incaricati di cui sopra senza altra considerazione o aggiunta.

Da uno studio di tutta la numerazione abbiamo potuto trarre questo quadro riassuntivo:

Anno 1508 - Castrum Paganice

Fuochi n 119
Sposati n. 288
Vedove n. 24
Figli n. 212
Figlie n. 125
Frati n. 2
Totale viventi n. 651
Morti di peste nell'anno 1503 n. 146
Morti di altre malattie dall'anno 1500 al 1508 n. 50

Cognomi paganiensi all'alba del sec. XVI

La numerazione dei Fuochi dell'anno 1500 ci offre due possibilità:

1.       Di conoscere i nuovi cognomi della Paganica all'alba del sec. XVI

2.       Di constatare la metamorfosi dei patronimici (= nome formato da quello del padre o avo) che danno origine al vero cognome

Se si confrontano i cognomi del quadro sinottico riportato nel testo della Paganica del XIV secolo e li confronta con il seguente quadro sinottico si accorge che il cognome è ancora nome in genitivo: Angeli = figlio di Angelo; ora invece è: De Angelo chiaramente cognome che non esprime più figlio di Angelo, ma discendente di un avo Angelo capostipite del casato.

Quadro sinottico dei cognomi paganiensi anno 1508

Abbate

De Cente

De Honofrio

De Mascio Russio

Abbate

De Cente

De Honofrio

De Mascio Russio

De Patrignano

De Stephano

Cancellero

De Chenche

De Ioannito

De Mattuthio

De Petri

De Tiberio

Colista

De Cicho

De Iacopo

Dello Massimo

De Petri Martino

De Thorsu

De Agostino

De Ciccho

De Ioanne

De Mico

De Petri Amicho

De Triestino

De Amicho

De Colangelo

De Ioanne Antonio

De Minuthio

De Petri Paulo

De Vito

De Andrea

De Cola

De Iancosta

De Morello

De Pigliatilli

De Venanzo

De Angelo

De Colecta

Dello Impagliato

De Moze

De Quattro Occhi

Mezofrate

De Angeluthio

De Coluctia

De Leonardo

De Mutio

De Ragnetto

Mosca

De Antonio

De Dominicho

De Liberato

De Nanni

De Ratillo

Schiavoni

De Athala

De Eramo

De Lioni

De Nardo

De Rathiela

Solista

De Baptista

De Floro

Dello Liscio

De Nunzio

De Renzo Martino

Zencharo

De Bartholomeo

De Francischo

De Ludovico

De Ochio

De Rithio

De Blasio

De Franchio

De Macteo

De Palaviudesse

De Rotellino

De Bugella

De Funiziano

De Marco

Dello Papa

De Ruscio

De Buso

De Gizio

De Martino

De Paulo

De Sancto

De Castellano

Della Grifa

De Mascio

De Paschale

De Saverio

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Il grande male la peste

Uno dei grandi mali che troppo spesso si ripeteva in quei tempi era la peste. Già abbiamo accennato a questo male abbattutosi in altri secoli su Paganica; purtroppo lo dobbiamo includere anche nella cronaca nera del sec. XVI.

Nessun cronista o scrittore ci ha segnalato la peste scoppiata a Paganica all'inizio del secolo XVI negli anni 1502-1503. Solo la numerazione dei Fuochi dell'anno 1508, ci parla di tale triste avvenimento quando, numerando i Fuochi nei loro componenti ci segnala di volta in volta la morte del tale componente: 'se morse al morbo de anni 5'….; morse so patre so anni 5 et morse so avo similiter al morbo….; et nota como ci dicono che Ioanne de Chenche cum tucti figli et famillia de casa morsero al morbo et non si ponno inscrivere…'. Se la numerazione dei fuochi di Paganica venne effettuata dal 15 luglio al 20 settembre del 1508 la peste scoppiò nel 1502-1503 poiché si parla di 'morbo de anni 5'

Il primo barone di Paganica: Roderigo de Arzes

La sollevazione aquilana del 1528 soffocata dal principe D'Oranges spinse questi a staccare i castelli dal dominio dell'Aquila creando i nuovi feudi. Avvenne così che Paganica fu infeudata al dominio del capitano spagnolo Roderigo de Arzes divenendone il primo Barone e comperandola al prezzo di 400 escudos pagati a D. Pietro di Toledo successore dell'Oranges.

Lo sappiamo sposato con una certa Isabella e conosciamo un suo legittimo figlio: 'Mag.cus Dominicus Iohannesde Arzes'

Lo troviamo ancora vivo a notizia del Mariani; lo sappiamo già morto nell'anno 1566 da un atto notarile di notar Bernardinus Rubeus de Paganica nel quale si legge:

'temporis cuius viri contra Magnificam Isabellam heres quondam Roderigi de Arzes Baronis olim Paganice…'

Dominò, quindi Paganica per circa 35 anni

Accordi unitari tra i paganiensi intus e extra

Tra i paganiensi 'intus e extra' vi fu sempre un vivo sentimento di patriottismo, mai infranto. Chi legge la cronaca aquilana di ogni secolo, trova sempre saldo questo legame in particolare quando bisognava difendere la giustizia e l'onore del 'Quarto di S. Maria' e quello del 'Castello o Università di Paganica extra'. Gli episodi di questa solidarietà sono innumerevoli.

Anche le tasse continuarono ad essere pagate per ambedue da quelli del Quarto di S. Maria nonostante che i paganiensi extra avessero ottenuto il privilegio di non pagare più le gabelle alla città dell'Aquila, dal re Ferdinando I° nell'anno 1478. Ce lo confermano i 'Libri del Taglione' con l'imposizione delle tasse poste dagli spagnoli agli aquilani dopo la rivolta del 1528.

Questo legame lo troviamo ancor più rafforzato anche dopo la riacquistata 'indipendenza municipale' da parte dei paganiensi extra operata dal principe D'Orange dopo i fatti del 1528. L'Antinori, infatti ci da notizia di aver letto nella cronaca del De Ritiis p. 813 un atto notarile di Johannes Thomas de Santanza aquilano, rogato il 9 Marzo del 1537. Che legalizza la Convenzione tra i due popoli paganiensi circa le ripartizioni delle rendite popolari, così ripartite:

1.       La montagna di Paganica non si può dare in affitto senza il consenso degli officiali dei due popoli;

2.       Il denaro guadagnato dai fitti della montagna e da quelli dei prati, viene distribuito tanto per ogni Fuoco: 14 fuochi per gli intus; 190 per gli extra;

3.       A nessuno è permesso di tagliar legna: è di diritto dei Paganiensi extra;

4.       I possedimenti di Cornella, Collalto, Manipolo e il Molino restano di diritto dei Paganiensi extra; i possedimenti di CADICCHIO e di Aquilentro restano di diritto degli intus;

5.       Ogni paganiense extra che dissoda i tenimenti popolari, perde il tenimento e i frutti;

6.       La spesa per i ceri per la festa dei quattro protettori dell'Aquila viene sostenuta da tutti i fuochi dei due popoli con tassa stabilita;

7.       I paganiensi extra possono pascolare i loro armenti sui tenimenti popolari ma non pascolarvi quelli dei forestieri: per questa concessione devono versare ai paganiensi intus una piccola somma;

8.       I paganiensi intus verseranno a quelli extra la rata che sessi pagano per la montagna di S Egidio;

Questa Convenzione fu migliorata in seguito, nonostante l'abuso del potere baronale del De Arzes. L'Antinori ci fa sapere che nell'anno 1561 un atto notarile dice che i 'tenimenti di CADICCHIO pur essendo di diritto dei paganiensi intus venivano concessi o locati a quelli extra con pagamento di una certa somma'.

Lo stesso Antinori ci da notizia che nell'anno 1570 con atto notarile i Massari dei due popoli convennero di raddoppiare il prezzo che i paganiensi extra versavano a quelli intus per la disposizione dell'articolo 'G' della convenzione del 1537.

Fu proprio per questo accordo comunitario dei due popoli paganiensi che si poterono attuare iniziative e migliorie nell'amministrazione municipale paganiense. Infatti:

1.       Le 'cave di pietra' esistenti una a Villa S.Gregorio e l'altra a Vannirola furono date in affitto dalla Università a beneficio comunitario;

2.       I Massari a nome e per conto dei Paganiensi intus vendettero alcuni terreni di Aquilentro a Fabrizio e Troiano De Rubeis di Paganica nell'anno 1597;

3.       Gli stessi comperarono a nome e per conto dei paganiensi extra il Molino e la Gualchiera in tenimento di Tempera in località 'piedi le case' dagli eredi di Giovammarino de Rizi, pur con la obbligata compartecipazione del barone del tempo: Diomede Carafa;

4.       Così gli stessi Massari a nome dei due popoli paganiensi sostennero la battaglia della stabilizzazione dei 'confini tra Paganica e Camarda e tra Paganica e Pescomaggiore dopo una lunga causa sostenuta dal Sacro Regio Consiglio'.

Il catasto di Paganica nel 1550

La Regia Curia di Napoli aveva ordinato la nuova numerazione dei Fuochi e per tale operazione inviò all'Aquila e suo distretto, l'illustre Consigliere e Commissario D. Ettore Gesualdo il quale oltre alla riforma del Magistrato dell'Aquila fu alla presidenza della compilazione dei nuovi Catasti, dividendo in zone i castelli da catastare e procuratori gli incaricati a tale operazione.

Da un atto notarile del notaio paganiense, Giuseppe Margico, rogato il 7 ottobre 1550, veniamo a sapere che per Paganica fu nominato un certo

'Marcus Antonius Innocentii de Barisciano de Aquila , ut Procurator Universtatum et hominum infrascripte terrarum… Aranee, Campane, Camarde, Furcelle, Fontis Avignonis, Labarete, Ocre, Paganice, Rocche Pretorii, Rodij, Saxe, Scopleti, Stiffi, Sancti Victorini, Tussis et Castri Tornepartis….' Che ogni castello doveva pagare 'doi denari ad foco per lo bariscullo de Campagna'; Paganica fu tassata per ben 97 Fuochi in più dell'ultima numerazione, era quindi accresciuta la popolazione paganiense rispetto a quella del catasto del 1508

Il secondo Barone di Paganica: Ludovico CARLI

I ricorsi della Università paganiense contro il Barone Roderigo de Arzes ebbero il loro frutto.

Sappiamo da un atto notarile del notaio Paolo da Fossa rogato il 14 luglio 1546, come il Barone umiliato da tante accuse e richiamato dal vicerè di Napoli, si ritirò dal governo diretto dei suoi feudi e nominò suo Procuratore Generale: 'exmium Dominum D. Hieronimum Xarc castellano Civitatis Aquile…a vice nomine et pro parte ipsius costituendis et pro eo Regendam et Gubernandam dicta castro…

cioè: Paganica, Camarda, Aragno e Tempera, poiché il 'Mag.cus Dominus Rodoricus De Arzes era utilis Dominus et Baro Castrorum Paganice, Camarde, Aranee et de Interveriis…'.

Inoltre l'umiliazione lo prostrò tanto che decise la vendita del feudo di Paganica al miglior offerente. Risaputa la cosa dai Massari e popolo paganiensi, questi sollecitarono la nobile famiglia CARLI dell'Aquila a comperare il feudo, con riserva da parte della Università, di poterlo riscattare e così riprenderlo indipendente dal regime baronale.

La famiglia CARLI aderì, sia perché oriunda paganiense e sia per facilitare, forse, il ritorno della libera Università di Paganica sotto il governo dell'Aquila. Non conosciamo l'anno esatto della compra-vendita del feudo paganiense, ma certamente fu fatta prima del 1566 - poiché un atto notarile del notaio Giovan Battista Caraccio dell'Aquila rogato il 9 Maggio del 1566, ci fa sapere come la compera era già avvenuta, però senza il consenso della Regia Camera, la quale stava trattando la vendita con il Barone Diomede Carafa. I paganiensi si opposero a questa decisione ma nulla poterono, e, nel Giugno del 1566 la Regia Camera vendeva al Carafa il feudo di Paganica e di Tempera per la somma di 16.686 ducati.

Il terzo Barone di Paganica: Diomede Carafa

I Carafa, storica famiglia napoletana derivata dall'illustre casa Caracciolo e propriamente da Gregorio Giovanni Caracciolo vissuto nel sec. XII°, si divise in due grandi rami detti: della Spina e della Stadera.

Il ramo della Spina dette i natali a un Pontefice: Paolo VI° Carafa dei Conti di Montorio (1555 - 1559) oltre a dieci cardinali.

La sua baronia di Paganica non durò molto, perche nell'estate dell'anno 1578 restò ucciso in una rissa con Ferrante Goffredo, figlio del Marchese di Treviso.

La sua baronia paganiense non segnò alcunchè di particolare, almeno per quanto ci è stato possibile conoscere, sia in bene che in male.

Il quarto Barone di Paganica: Giuseppe Carafa

Giuseppe Carafa appartiene al ramo della Stadera, quindi cugino di Diomede. Lo sappiamo Barone non solo di Paganica ma anche di 'aliorum casrtorum in provincia Aprutii' come ci attesta l'atto notarile di Massimo Camelli rogato il 3 Settembre del 1578.

La sua baronia durò 8 anni: dal 1578 al 1586. Non lasciò niente di importante poiché non dimorò a Paganica.

Venne spesso in contrasto con la Università paganiense, ma questa già edotta dalla esperienza con il Barone De Arzes, non subì le imposizioni del nuovo Barone, ma lo costrinse a venire a patti, come risulta dall'atto notarile citato sopra.

Il quinto Barone di Paganica: Ettore Caracciolo

Il Barone Carafa rivendette alla Regia Corte il feudo la quale lo mise all'asta e per estinzione di candela il feudo di Paganica restò aggiudicato a Ettore Caracciolo, napoletano, il quale ne divenne così automaticamente Barone nell'anno 1586.

Ma anche lui non lasciò nulla di importante, sia perché non dimorò a Paganica e sia perché la sua baronia paganiense fu brevissima di appena un anno.

Il sesto Barone di Paganica: Ortensio del Pezzo

Anche esso di origine napoletana, divenne Barone di Paganica nel 1587, comperò il feudo rivenduto alla Regia Corte dal Barone Caracciolo. Ma anche la sua baronia durò poco, senza lasciare alcuna memoria degna di plauso.

Il settimo barone di Paganica: Girolama Concublet

Il Barone Ortensio del Pezzo rivendette il feudo per la somma di 16.520 ducati a Girolama Concublet vedova dell'ex barone Ettore Caracciolo morto nell'anno 1587.

Essa tenne il feudo assieme al figlio Giulio Cesare Caracciolo fino al 1597-98 anno in cui morì lasciando il feudo in eredità al figlio il quale nel 1599 lo vendette senza lasciare ne di se ne della madre alcun segno tangibile della loro signoria.

L'ottavo Barone di Paganica: Ferrante Vitelli

Assieme alla moglie Camilla Tomacelli, il Vitelli acquistò il feudo di Paganica direttamente da Giulio Cesare Caracciolo per la somma di 24.500 ducati.

Il Vitelli tenne il feudo dal 1599 al 1603, anche loro non lasciarono alcun ricordo della loro signoria. Col Vitelli si chiude la prima schiera baronale del sec. XVI°, che più che per il popolo, brigò per il proprio tornacondo.

Camerarii e Magistrati paganiensi del sec. XVI°

Il Crispomonti ci da un preciso elenco di questi magistrati aquilani, da cui estraiamo i nominativi paganiensi, che ogni due mesi venivano eletti a tale ufficio:

Novembre - 1525 - Carlo di Giacomo CARLI di Paganica
Gennaio - 1526 - D. Pierino Lucentini di Paganica
Novembre - 1527 - Bernardo di Ludovico di Paganica e Giorgio Pica di Paganica
Maggio - 1528 - Alessandro di Carlo di Paganica e Battista Releva di Paganica
Settembre - 1528 - Carlo di Giacomo di Carlo di Paganica
Novembre - 1528 - Giovannantonio di Giovanni D'Onofrio di Paganica
Marzo - 1529 - Giovanni di Giacomo di Nursia di Paganica
Luglio - 1529 - Geronimo Massimo CADICCHIO di Paganica
Novembre - 1530 - Giangiorgio Antonelli di Paganica e Battista Releva di Paganica
Luglio - 1534 - Paolo di Pietro Manfredi di Paganica
Maggio - 1538 - Giannantonio di Onofrio di Paganica
Gennaio - 1539 - Paolo di Pietro Manfredi di Paganica
Settembre - 1540 - Giuliano di Giangiacomo di Nursia di Paganica
Gennaio - 1541 - Paolo di Pietro Manfredi di Paganica
Novembre - 1541 - Giovannantonio di Giovanni Onofrii di Paganica
Luglio - 1543 - Battista di Colantonio di Stefano di Paganica

Nel Gennaio del 1545 per ordine di D. Pietro di Toledo, Vicerè di Villafranca, fu riformato il 'Magistrato aquilano' composto da un solo Camerlengo e dodici Consiglieri con l'aggiunta di quattro Consiglieri per ogni Quarto, formando così il 'consiglio dei ventiquattro' con il limite di durata in carica di soli sei mesi.

Questo testo è tratto dal libro 'Paganica attraverso i secoli' di don Ercolino Iovenitti

Cutini e Vestini
La Cutinorum Urbs
Lo storico di Roma, Tito Livio, afferma nel suo VIII Libro 'Ab Urbe condita libri', che nell'anno 430 di Roma, i Romani al comando del console Giunio Bruto Sceva, distrussero con rabbiosa veemenza la città di CUTINA nella regione dei Vestini.

Facciamo notare subito al nostro lettore, che Tito Livio è il solo storico a darci la notizia, e questo ci meraviglia un po’.

A noi la notizia liviana interessa direttamente, in quanto vari storici, non sappiamo su quali documenti basati, hanno affermato che la città di Cutina sorgesse sull'agro vestino-paganichese e precisamente sul monticello di CADICCHIO o Callicchio come lo si chiamava popolarmente.

Questi storici sono: il Martelli, il Bonanni, il Leosini, il Marmocchi ed altri. Anche la 'Carta Geografica dell'Isle di Amesterdam' sec. XVIII e la 'Carta Corografica degli antichi popoli che abitarono la provincia dell'Aquila' ed altre ancora indicano Cutina sul monte di CADICCHIO.

Altri storici, invece, sono di parere diverso. Il Cluverio la identifica con Aufina ( Ofena ); il Ludovisi la vuole riconoscere in alcune fortezze marsicane ; il Bonanni, in altra pubblicazione la identifica con la odierna Civitella Casanova.

Gli storici favorevoli alla Cutina paganichese la vedono sul monte di CADICCHIO perchè, essi dicono: il nome di CADICCHIO non è altro che la deformazione del nome di Cutina.

Francamente per quanto ci siamo sforzati di trovare documenti storici su tale nome e località, non abbiamo trovato alcuna citazione che abbia, almeno lontanamente, confermata tale ipotesi.

Infatti la più antica citazione del nostro monticello la si trova nella Cronaca Farfense e precisamente nel 'Placitum' di Raniero Duca di Toscana, sotto l'anno 1014 dove nella elencazione dei terreni soggetti all'Abbazia si parla di terreni: 'de Comitatu furconino in Trineri, et ubi dicitur Paternus id est Ecclesia S. Gregorii, et Ecclesia S. Liberati et ubi dicitur CALICLA in quo sunt aquae mola. Et in Paganica, et in Camarda, etc.'.

Inoltre: nell'inventario delle 'Rationes Decmarum' dove vengono elencate 'le decime'che le chiese della Diocesi dell'Aquila dovevano al proprio vescovo, leggiamo sotto l'anno 1313, foglio 29, n. 39: Ecclesia S. Tomei de CADICLA par unum de ossibus et panes duos…'.

Nella pergamena n. 13 dell'archivio Parrocchia S Maria Paganica Aquila del 24-12-1323 leggiamo CLADICCLA.

Ora se esaminiamo i tre termini: Calicla, Cadicla, Cladiccla non è difficile vedere in essi le corrispondenti terminologie: Callicchio e CADICCHIO, ma… non vediamo alcuna radice del nome CUTINA. Solo con la buona volontà potremmo forse immagginarlo! Quindi l'ipotesi degli storici favorevole alla Cutina del monticello CADICCHIO, non è troppo chiara, ma non la scartiamo completamente poiché potrà darsi che loro abbiano avuto altre testimonianze a noi ignote.

In realtà il monticello di CADICCHIO fu abitato per vari secoli, e ciò potrebbe essere un argomento favorevole alla preesistenza di una città avita, più che l'ipotesi basata sulla terminologia del monticello. Di questa vitalità urbana troviamo conferma in un atto notarile del 7 febbraio del 1356 riportato dal Mariani e nell'inventario dell'ospedale Maggiore dell'Aquila sotto l'anno 1448.

Inoltre la famiglia CARLI dei Cadicchi è originaria proprio da questo monticello. Anche un atto notarile di notar Massimo Mactutii de piezulo de Aquila, 21 giugno 1414, archivio Parrocchia S. Maria Paganica Aquila, pergamena n.10, cita un certo Antonio Masciarelli de Cadicchia de Paganica, che possedeva un terreno in quella località. Quindi CADICCHIO nel 1414 era ancora abitato.

Infine un rudere di questa vitalità urbana sul monticello di CADICCHIO lo si ammirava ancora agli inizi dell'anno 1900. Lo abbiamo appreso dalla 'Relazione tecnica dell'Ing. Alfonzo Volpe dellAquila, sulle controversie tra i comuni di Paganica, Camarda, Aquila e i Marchesi Agostino CARLI e Alfonzo Cappelli per le confinazioni del loro territorio'.

Infatti a p. 79 si legge: 'dal termine S.Antonino adunque al confine di ponente di Tempera con quello di Aquila per Gignano si protrae in linea retta al punto culminante del Monte CADICCHIO, e precisamente in prossimità di una antica Torre diruta, ove tuttora esiste un ' termine ' lapideo con croce artificiale, che segna anche il confine di Paganica con Tempera e L'Aquila '.

Purtroppo, concludento, tutto è argomentazione; tutto è supposizione; tutto è ipotesi. Finchè non avremo altri argomenti più validi, resterà sempre ipotesi.
I Precutini
Un argomento, invece, che potrebbe offrire qualche probabilità della esistenza della città di Cutina, non precisamente sul monticello di CADICCHIO, ma sull'agro paganichese, ci viene da un'altra notizia offertaci da Tito Livio quando parla di Annibale, dice di un 'agrum Precutinum', 'agrum' Che l'altro grande storico Caio Plinio nel Lib III cap. XII chiama 'Praecutiana Regio' precisandone i confini tra il fiume Aterno e il Tronto: 'Ab Aterno amne, ubi nunc ager Precutinus Pennensisque idem Castrum Novum (Giulianova), Flumen Invantium (Tordino), Truendum (Tronto), cum amne quod solum Liburnorum in Italia reliquum est (Librata o Vibrata), flumen Albula Tessuinum quo finit Praecutiana regio, et Picenumincipit'.

In pratica, comprendeva quasi tutta l'attuale provincia di Teramo.

Ci domandiamo: perché questa 'regio' era chiamata 'Praecutina' ? Quel 'Prae' è preposizione di tempo o di luogo? Certamente di luogo, poiché si parla di popoli abitatori di una 'regio'. Dunque: se oltre il Gran Sasso, la provincia di Teramo, era chiamata 'precutina', vuol dire che al di qua vi era un 'regio Cutiniana', abitata da popoli Cutini con la propria città di Cutina. Diciamo al di qua poiché al nord vi erano i Piceni; a sud oltr l'Aterno, i Marrucini; ad est l'Adriatico; quindi all'ovest i Cutini che sembrano identificarsi con i Vestini nella cui regione i romani distrussero - al dire di Tito Livio - la città di Cutina, che molto probabilmente da secoli era stata edificata sulle spnde del restante lago Pleistocenico,

Non è quindi improbabile che la 'regio cutiniana' era proprio la paganiense a valle e a monte del Gran Sasso; non è quindi improbabile che sul monticello di CADICCHIO vi sia stata un giorno la forte città di Cutina.
I Cutini
Da tutto il suesposto sembra delinearsi questo ragionamento: accertato che Cutina è esistita nei Vestini; accertato che i romani mossero per sottomettere i Vestini, e con la distruzione di Cutina intesero la loro piena disfatta; ne segue che la città di Cutina era il fulcro, il centro, la capitale di quel popolo.

Detto questo, nasce un'altra domanda: capitale del popolo Cutino o Vestino? Stando alla notizia liviana dobbiamo dire: del popolo Vestino. Sorge, però, un dubbio se ci rifacciamo al significato etimologico del nome Vestino. Il cluverio infatti afferma che molti scittori greci, tra i quali l'Appiano, Dioscoride nel Lib. I, cap. IX e lo Sveda lo fanno derivare dal termine greco: Bestenoi cioè allevatori di bestiame; quindi tradotto in ' Bestini ', nome, che nelle successive traduzioni latine perdendo la 'beta' dei greci, scambiata con la 'v' dei latini, divenne ' Vestini'.

Dunque il nome 'Vestino' fu un appellativo o meglio un soprannome dato dagli scrittori a un popolo preesistente con altro nome. Quale poteva essere questo popolo? Se ci rifacciamo al ragionamento della 'regia Precutiniana' e all'importanza della città di Cutina, non è difficile individuarlo nel popolo cutino

Anzi ci sembra logico che i romani distruggendo la città di Cutina , sottomisero il popolo cutino e che gli storici 350 anni più tardi, lo dissero Vestino per motivi etimologici di cui abbiamo detto sopra. Secondo noi, quindi, abbiamo avuto una 'gens Cutina' all'inizio, soprannominata in seguito 'Vestina'.

I dubbi, però, che il 'guerriero di Capestrano' ha fatto sorgere nell'animo di tanti esperti, forse potrebbero essere risolti approfondento la conoscenza della 'gens cutina', alla quale esso potrebbe appartenere; come anche la iscrizione italica rinvenuta nell'agro paganichese (vedi la sezione Ipotetica origine di Paganica).

E chissà se la loro origine non sia nascosta anche nel nome del fiume VERA, nome forse derivante dal nome della dea ERA venerata a Samo, alla quale i Cutini dedicarono forse le purissime acque a ricordo delle loro origini elleniche? La statua della dea ERA si trova nell'ex palazzo Ducale dei Duchi di Costanzo a Paganica.

I Vestini
Di questo popolo antenato ne parliamo così come gli storici ci hanno dato notizia, pur restando per noi la precisazione di cui sopra e cioè che esso è da identificarsi con il popolo cutino.

Il primo storico che ci ha parlato dei Vestini come tali, è il greco Polibio nel Lib. II delle 'Storie', tre secoli dopo la distruzione di Cutina da parte dei romani.

Dopo Polibio abbiamo un altro storico greco che ci parla dei Vestini ed è l'Appiano da noi già citato; anche Dioscoride, altro greco, ce ne parla al Lib. I cap. IX e lo Sveda che ha voluto darci l'etimologia del nome 'Vestino'.

Plinio ci fa sapere che i Vestini facevano parte della 'regio Quarta' d'Italia: ' sequitur regio Quarta, gentium vel fortissimarum Italiae: Frentanos, Marrucinos, Pelignos, Marsos, Aequiculanos, Vestinos, Samnitas'. Lo Sveda inoltre ci fa sapere che i Vestini erano di rigidi costumi: 'Bestini, gens in Italia ferini moribus praedita'.

Polibio ci fa sapere che i Vestin con i Marsi, Marrucini e Frentani presero parte alla II Guerra Punica forti complessivamente di 20000 fanti e 4000 cavalieri.

Strabone ci da notizia che essi presero parte alla Guerra Sociale contro Roma, per il diritto di 'cittadinanza romana'; e l'Appiano ci fa sapere che tra i sei generali comandanti i sei contingenti che componevano l'esercito italico, vi era anche un vestino; Pontidio

Popolo industrioso e intraprendente, forse ancor prima della completa e rabbiosa distruzione della propria citta madre: Cutina, e forse per nostalgia delle proprie origini elleniche, seppe aprirsi la via per il Mare Adiatico attraverso il Corso del fiume ATERNO, per cui la sua espansione territoriale raggiunse la riva adriatica alla sinistra della foce del fiume: 'qui Vestinos a Marrucinis dirimit' facendo di ATERNUM il suo porto.
Questo testo è tratto dal libro ' Paganica attraverso i secoli' di don Ercolino Iovenitti

Abbazia di Sant' Antonio Abate

La più modesta fra le chiese minori di Scanno è quella di S. Antonio Abate. Appartenne all'Abbazia, che senza dubbio esisteva nei secoli XIV e XV fuori le mura del paese, ai piedi del c.d. «Colle », e che ebbe con tutta probabilità la sua fondazione, come altre dell'Abruzzo e di altre provincie del Mezzogiorno d'Italia, per opera dell'Ordine dei Chierici Ospedalieri di S. Antonio Abate di Vienne.

Quest' Ordine fu fondato in Vienne del Delfinato (Francia) per iniziativa di un tal Gioacchino il quale quivi portò dall'Oriente il Corpo del Santo. Organizzatosi in Congregazione nel 1093, nel 1095 fu riconosciuto come Ordine da Urbano li. Alcuni scrittori affermano che l'Ordine fu sciolto nel 1605 da Paolo V col passaggio dei beni a quello Costantiniano di S. Giorgio, altri attribuiscono lo scioglimento a Clemente XVI (1769-1775) col passaggio dei beni all'Ordine Gerosolimitano.

Una lapide con la data 1569 ricorda che Ercole Ciorla «fieri fecit », il che indusse a ritenere che questo fosse l'anno di fondazione. L'ipotesi viene distrutta dalla data 15 febbraio 1515, che porta una Collazione di Beneficio (20) del Vescovo Cadichio di Sulmona, con la quale si conferisce al sacerdote D. Pasquale di Pietro Arciprete di Scanno, la chiesa di S. Antonio (Ruralis Abbadie vulgariter nuncupata de Scando) ed il beneficio appartenente alla medesima tenuto in precedenza dall'altro Arciprete D. Marino Ciolli.

Questo documento toglie ogni dubbio sull'antica ruralità dell' Abbazia e della Chiesa. Non è improbabile che andarono distrutte in qualcuno dei forti terremoti, che, come quello del 1706, produsse al paese ingenti rovine, mentre è evidente che in epoche posteriori sui ruderi del Convento sorsero le case di abitazione dell'attuale via Ciorla, nel cui interno sono palesi i segni di costruzione caustrale.

L'Abbazia di S. Antonio Abate ebbe un beneficio ecclesiastico sotto la denominazione «degl'Innocenti » della cui fondazione ad opera della famiglia Ciorla si ignorano l'anno e l'atto. I fondi di tale beneficio si chiamavano comunemente «Le terre della Commenda », il che dimostra che assunsero tale qualifica, quando passarono in proprietà dell'Ordine Costantiniano. Un tardo locatario di tali fondi fu tal Trofino Colarossi, il quale nel 1788 corrispondeva al Commendatario un canone di ducati quattro e mezzo.

Il Reale Ordine Costantiniano di S. Giorgio, nel secolo scorso, venne nella determinazione di alienare i fondi del beneficio ed un tal Cav. Ciavoli de L'Aquila, nella qualità d'Inquisitore dell'Ordine, con autorizzazione dell'Eccellenza D. Gregorio Letizia, Procuratore Generale del Re di Napoli presso la Corte Suprema di Giustizia Fiscale del detto Ordine, li diede in enfiteusi perpetua con facoltà di riscatto ai fratelli Nunzio e Francesco Di Rienzo, come risulta dall'Atto Damiani di Aquila 15 marzo 1837.

« I beni sativi e prativi, nonché un casaleno (sic), che fu un tempo Chiesa addetta al culto di S. Antonio Abate ».

Non molti anni dopo l'enfiteusi fu riscattata, come da un Atto del notaio Fasciani di Sulmona.

La chiesa fu fatta ricostruire, com'è ora, sul «casaleno» intorno al 1850 dai fratelli Antonio e Adriano Di Rienzo, e con la ricostruzione della chiesa fu ripristinata la usanza, che era stata della Abbazia prima e dell'Ordine Costantiniano poi, della distribuzione delle « sagne » nella mattina del 17 gennaio, Festa del Santo (21).

(20) Arch. di S. Pelino in Pentima, Perg. IV. (21) Per la storia di questa chiesa si è riportato passim DI RIENZO, S. Antonio Barone, in La Foce, A. IV, n. 6.

 

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