Poche riflessioni, qui, per richiamare due essenziali problemematiche di analisi giuseconomica, necessità innescata dalla recente tendenza di adoperare istituti generati da diversi mondi giuridici.
Parliamo, innanzitutto, del copyright (di stampo anglosassone) e il diritto d’autore (di matrice continentale) allo scopo di gestire il “governo giuridico” di alcuni interessi economici legati alla crescente diffusione di nuove tecnologie, in particolare di natura digitale.
Le convergenze tra ragionamento giuridico ed economico emergono in modo evidente.
Alle tematiche generali della proprietà intellettuale si associano alcuni problemi di confine - come la tutela del software e delle banche dati - in cui diritto d’autore e copyright si pongono in competizione per la rispettiva regolazione, con diversi meccanismi di bilanciamento giuridico degli interessi contrapposti in gioco e cioè: privative brevettuali, concorrenza sleale e, soprattutto, diritto anitrust.
Occorrse superare il limite di modelli e categorie economiche – che sono diversi dallo strumentario giuridico tradizionale a cui è abituato (soprattutto) il giurista italiano – ed il primo passo è la comprensione delle sue nozioni e categorie attraverso il confronto sinottico tra testi di analisi economica e testi giuridici.
Un ausilio indispensabile in questo senso è offerto dalla comparazione giuridica che mette in guardia dalle omologazioni per assonanza di categorie coniate in sistemi giuridici differenti.
Un esempio classico si rinviene nella fuorviante semplificazione che si nasconde dietro al traduzione - spesso rinvenibile nei testi economci italiani - dell’espressione anglosassone property rights con ‘diritti di proprietà’.
Proprio nei ragionamenti in materia di proprietà intellettuale si può osservare come una simile omologazione per assonanza trascuri le cospicue diversità di fondo tra sistemi giuridici (in particolare, tra sistemi proprietari) pur accumunati dalle stesse logiche economiche e dalla convergenza di regole specifiche. Un altro ausilio è offerto dalla lettura storica della proprietà intellettuale, che mette a nudo le dinamiche evolutive di questo istituto, spesso distanti - non foss’altro che per l’accidentalità tipica dello sviluppo delle istituzioni giuridiche - dalle astrazioni di taglio economico.
Altto tema essenziale in questo quadro è quello della concorrenza.
Questo sembra essere diventato, nell’esperienza contemporanea, una sorta di punto di riferimento necessario per una serie indeterminata di modelli culturali, variamente incidenti sulle scelte politiche o istituzionali.
Eppure il tema del mercato (assunto nella sua accezione di mercato concorrenziale e quindi non monopolistico) non risulta facilmente riconducibile a parametri uniformi, essendo tuttora controverso se il fenomeno debba essere definito in funzione esclusiva di indici di tipo economico o piuttosto alla stregua di parametri giuridici.
Le interferenze tra l’ottica economica e quella giuridica sul tema della concorrenza sono evidenti al di là di quelle che possono essere le prospettive particolari di un’analisi economica del diritto odi un diritto privato dell’economia. Esse risultano tuttavia prevalentemente governate da una sorta di reciproca ideologia dell’onnipotenza.
Da un lato il giurista è convinto che il precetto legislativo sia di per sé sufficiente a governare e indirizzare gli eventi sociali, e segnatamente quelli economici, dall’altro l’economista è abituato a considerare il quadro normativo come uno degli elementi da tenere in considerazione al fini della valutazione del rapporto costi-benefici, mettendo tuttavia in conto la riforma del quadro giuridico e perfino la possibile violazione del precetto in un contesto di uso efficiente delle risorse.
La prospettiva della ricerca della Giustizia formale (intesa come applicazione delle regole giuridiche vigenti in un dato momento storico), che rimane comunque la meta di qualsiasi analisi giuridica - quale che debba essere la difficile ricerca del punto di equilibrio tra un dettato legislativo tendenzialmente statico e una realtà in costante evoluzione - non sembra agevolmente conciliabile con il criterio dell’efficienza nè con quello dell’efficienza, per riuscire a trovare strumenti che determinino maggior Equilibrio sociale, che rappresenta il traguardo sul quale l’economista è abituato a fondare la verificabilità delle sue analisi.
A ciò si aggiunga una reciproca (ancorché non dichiarata) diffidenza tra gli analisti dei due settori.
L’economista è infatti intimamente convinto che l’interpretazione giuridica, in quanto necessariamente affidata a giudizi di valore dell’operatore, sia inidonea a fondare un discorso scientifico sull’organizzazione sociale, dimenticando che anche i giudizi di valore, in quanto non ricondotti a valutazioni di seguo meramente individuale ma collocati in una più ampia prospettiva sociale, sono suscettibili di verifica.
Il giurista contesta che l’ottica efficientistica risulti a sua volta immune dalle convenienze di chi la propone o comunque di gruppi particolari e dimenticano che, se così fosse, risulterebbe compromessa la stessa scientificità dell’analisi, che impone un riscontro quanto più possibile allargato alla totalità dell’organizzazione sociale di riferimento.