Il presente studio costituisce l'attualizzazione della traccia della relazione presentata dall'A. al convegno ' Il lavoro non è merce ' organizzato dalla Rivista PAGINE LIBERE, presso il CNEL, il 16.12.1993
Il lavoro non è 'merce', nel senso che (vista la 'merce', nella sua accezione negativa) il lavoro costituisce un diritto - oltre che un dovere -; il lavoro è una dimensione umana; come tale, richiede rispetto ed apprezzamento, non importa se oggetto di un tipo o di un altro di forma contrattuale giuridica.
Ma anche in un altro senso: il lavoro è un Bene e, come tale, deve essere collocato nel contesto soggettivo - e quindi indisponibile - della personalità umana, della sua dignità e dimensione biologica; deve pertanto esser tutelato a prescindere dal possibile inquadramento in un Ordine o Sindacato.
Oggi, in Italia, in Europa, esiste un sempre più pressante criterio costo / ricavo , che spesso porta a svilire l'apporto umano nel gruppo ad un mero fatto, svincolato dal dato soggettivo, psicologico, tanto che anche il 'danno biologico' ovvero alla vita di relazione, ha un suo prezzo, individuato soprattutto dalla dimensione lavorativa. Ma, tranne a non ipotizzare una diversa società, svincolata dal rapporto lavoro / beneficio o dalle attuali necessità connesse all'essere cittadino di uno Stato 'non più gruppo sociale', ovvero 'non più famiglia', oggi tale Cittadino più che un Uomo è un ingranaggio. E se già tanti anni addietro sembrava vera tale affermazione, oggi risulta ancora più gravemente concreta, per le dimensioni globalizzate che esistono.
E, questo, anche riferito al lavoro umano, addirittura anche per la persona umana: nell'era della clonazione di geni o addirittura della soppressione o del rapimento per espianto forzato di organi, risulta ben logico che l'uomo che non produca sia eliminato!
Globalizzazione del Mercato, più che globalizzazione dell'Uomo!
Andando ad un piano più economico della discussione, vediamo che - di pari passo con l'introduzione del concetto di costo / beneficio - viene applicato sempre più estesamente il criterio del libero mercato .
In questo contesto, parola chiave è 'concorrenza'.
Concorrenza tra persone e tra cose; concorrenza tra imprese e tra norme. In effetti, per assurdo, l'Atto Unico Europeo (trattato del 1986, che ha integrato e modificato i trattati di Roma, istitutivi della CE) avrebbe potuto, come conseguenza, comportare che un cittadino europeo avrebbe avuto la facoltà di scegliere - ed, in parte, di fatto così avviene - tra due norme uguali ma poste da due differenti Stati, così applicando quella che più e meglio preferisse.
Tale situazione - in toto - è visibile anche dal solo angolo 'tributario'.
Il concetto di costo / beneficio ha fatto sì che ostacoli qualitativi e quantitativi esterni ovvero 'alle frontiere' (quali: le imposte doganali, le imposte di consumo, l'i.v.a.) e - poi - anche quelli interni (la tassazione difforme sulle società e sulle persone fisiche); ora, anche quelli internazionali (cioè, si è arrivati all'armonizzazione dei trattati internazionali bilaterali in materia fiscale, stipulati autonomamente dai singoli Stati CE con Paesi terzi).
Il concetto costo/beneficio ha fatto sì che lo Stato rendesse i soggetti obbligati a pagare le tasse, come tanti imputati rei confessi: la dichiarazione dei redditi è, sostanzialmente, un'autodenuncia. Questo, perché lo Stato-apparato non ha la possibilità di accertare e controllare. E ciò, è reso anche più gravoso per talune categorie di contribuenti.
In tale contesto, la parola 'equità fiscale' ha - credo - perduto anche il suo senso iniziale. Infatti, la progressività d'imposta è diventata, in fatto, una sorta di proporzionalità.
I criteri che erano alla base dell'applicazione delle imposte 'dirette' e di quelle 'indirette', oggi non esistono più come tali: le une possiedono canoni propri delle seconde e viceversa. Inoltre, si va sempre più ampliando il contesto applicativo delle imposte sul consumo, piuttosto che quello delle imposte sul reddito (prodotto o accumulato).
Si pensi che, per collocare correttamente la pressione fiscale dei vari Paesi membri dell'UE o di tutta l'OCSE sui cittadini, bisognerebbe - tra l'altro - partire dalla misurazione dei servizi dati da ogni singolo Stato ai propri cittadini e dal loro costo effettivo.
Il concetto europeisticamente valido di 'libera concorrenzialità' tra i fattori produttivi (quale è il tributo), non fa altro che incrementare una sempre più estesa ed omogenea applicazione di detti criteri.
Inoltre, entra (nuovamente) sempre più a far parte del comune sentire, il concetto di corrispettività tra servizio reso e tributo pagato; anzi, tra servizio richiesto (se e quando!) e costo corrispettivo giusto.
E chiaro che, in questa situazione, parlare di equità fiscale porta a vedere la giustezza o meno dell'apporto monetario richiesto (il tributo) dallo Stato al cittadino e l'apporto sociale/economico fornito.
Cittadino - lavoratore dipendente, cittadino - lavoratore autonomo, cittadino - imprenditore: ovviamente, anche queste sotto sezioni debbono essere riviste alla luce dei detti concetti, cioè alla luce del ripensamento dei rapporti sociali di gruppo.
Da una parte, lo Stato non più 'padrone' ma 'gestore'; dall'altra, il Cittadino, non più 'suddito' ma 'cliente' . Tanto più oggi, che siamo nella Unione Economica; anzi, nello Spazio Economico Europeo.
In questo nuovo contesto - non solo normativo, ma culturale -, un'assoluta priorità risiede nel garantire la Qualità. Anzi, ironia della sorte, si può vedere come siano assolutamente (oggi) coincidenti le posizioni di Cittadini, Stato, Imprese, Professionisti.
Se tutto ciò è vero, come ritengo, ne discende tra l'altro che l'Amministrazione pubblica deve affermare i principi normativi dell'efficienza / efficacia, della trasparenza e deve fornire informazione quantitativa e qualitativa sulla sua attività, comunicando il proprio 'prodotto'.
Ma anche il Cittadino, come utente o consumatore o cliente, deve fornire la propria presenza civica, sulla base dei criteri generali ispiranti il nostro Ordinamento, così anche motivato a contribuire alle spese statali secondo le proprie possibilità.
Altrettanto, penso, debbano fare Imprese e Professionisti, in genere tutte le forze economiche.
In questo ambito, specifica importanza viene quindi fornita alla riforma dell'accesso e dell'esercizio delle Professioni , tanto quelle già 'regolamentate esplicitamente', quanto quelle 'non regolamentate' ovvero che lo sono 'implicitamente'.
Infatti, l'odierna, sempre maggiore esigenza di certezza e qualità per il Cittadino si sposano perfettamente, non solo con la necessità di regolarizzare la posizione di quei circa 4 milioni di lavoratori (autonomi e dipendenti) che in questi anni hanno elaborato ' nuove professioni ', specificamente rispondendo a bisogni sociali, ma anche affinando sensibilità, esperienze e tecnologie completamente nuove rispetto ai modelli ipostatizzati negli anni '30.
Regolarizzare regolamentando , quindi, a maggior tutela dei Singoli, Cittadini e Professionisti, ma anche delle Istituzioni e del Sistema Paese.
A tal proposito, devo richiamare la circostanza che in questi ultimi anni, si è avuto modo di osservare il sorgere ed il rafforzarsi di applicazioni telematiche nell'ambito della vita delle Borse nazionali, sia europee che estere. La possibilità oramai concreta ed apprezzata dell' on-line trading nelle Borse mondiali, sia commerciale che finanziario, con le sue varie applicazioni di carattere giuridico (fiscale, contributivo, lavoristico, penale) ed economico (contabilizzazione, concorrenzialità, flussi di cassa e di redditi) oltre che sociale. Attività, quella, strettamente connessa - anche tecnicamente - ma diversa dal 'commercio elettronico' in senso stretto. Essa rappresenta un'applicazione di quel fenomeno noto come ' globalizzazione dei mercati ' che, attraverso tecnologie e meccanismi applicativi - quali l'informatizzazione - ha prodotto (e, a sua volta, ne viene alimentato) il così detto 'commercio elettronico'.
In tale ambito deve esser vista la recente tendenza al crescente utilizzo della ' cartolarizzazione ' dei crediti commerciali. Questa rappresenta la pratica possibilità di mettere nuovamente in circolazione capitali oramai bloccati (a motivo di sofferenza, di crediti fiscali, di incedibilità legale). Si può forse affermare che tutto ciò dimostra la presenza di una nuova fase del libero mercato, quella della ' monetarizzazione virtuale '. Essa forse non costituisce altro che una delle ultime manifestazioni della progressiva eliminazione di limiti (le 'vecchie' barriere tecniche o atecniche, giuridiche o economiche) alla libera contrattazione / circolazione di capitali, beni e persone, in un contesto mondiale.
E' insomma, una fase in cui la vera ricchezza è rappresentata dalla Conoscenza e questa, oggi, viene ' trasmessa in rete '. Conseguentemente, la vera concorrenzialità sarà sempre più data dall' essere interconnessi; ciò significa, non solo che chi non lo fosse risulta 'fuori mercato', ma anche che la ' concorrenza in rete ' possiede caratteri e tempi diversi dal vecchio concetto di ' Concorrenza '.
Le implicazioni socio-economiche (per non parlare di quelle politico-istituzionali) sono tutte da studiare; basti pensare che si vengono fin d' ora a creare forme trasversali di economie (circuiti delle carte di credito) e di poteri (società telematiche e telefoniche), solo lontanamente appaiabili al vecchio capitalismo e al vecchio colonialismo. A tale riguardo si può notare che oggi le imprese che - per loro scelta o destinazione - debbano trovarsi in più Ordinamenti nazionali contemporaneamente, possono trovare un valido supporto nella loro struttura organizzativa e gestionale, anche per ciò che concerne quella afferente alla tesoreria, proprio attraverso la 'interconnessione', cioè la Rete, oggi dotata sia di tecnologie telefoniche che televisive. Tale applicazione pratica si va ad affiancare a quella situazione economica rappresentata dalle varie prassi da tempo esistenti, quale quella di gestire telematicamente (a distanza anche di migliaia di chilometri) le buste paga, le presenze, il magazzino, gli ordini di vendita, la distribuzione, la consulenza direzionale.
La visione di quel fenomeno noto come ' globalizzazione dei mercati ' che, attraverso tecnologie e meccanismi applicativi - quali l'informatizzazione - ha prodotto (e, a sua volta, ne viene alimentato) il così detto 'commercio elettronico' dimostra la presenza di una nuova fase del libero mercato, quella della ' monetarizzazione virtuale '. Essa forse non costituisce altro che una delle ultime manifestazioni della progressiva eliminazione di limiti (le 'vecchie' barriere tecniche o atecniche, giuridiche o economiche) alla libera contrattazione / circolazione di capitali, beni e persone, in un contesto mondiale. Ma deve anche esser vista quale parte del fenomeno l'utilizzazione, oramai molto diffuso anche in Italia, di carte di credito, smart cards e bancomat. Cosa che ci fa federe una progressiva smaterializzazione dei rapporti commerciali . E' insomma, una fase in cui la ricchezza viene ' trasmessa in rete '. Si può affermare che siamo oramai passati da una forma di capitalismo 'industriale' al c.d. 'capitalismo culturale'.
Tra le conseguenze più significative, vi è che l'idea di proprietà fisica sarà oggetto di revisione, in quanto la Rete impone che gli spazi privati facciano posto a quelli sociali: l'impresa diventa virtuale ed imprese - quale l'IBM - hanno già tagliato Mld. di spese immobiliari, mentre altre - quali la NIKE - è solo un ufficio di progettazione. Una forma di proprietà destinata a resistere è - invece - proprio la proprietà intellettuale ; saranno sempre più fantasia, idee, concetti a essere venduti in questa era dell'accesso e di Internet, delle reti e dei servizi, in cui lo spazio perde importanza e l'indirizzo virtuale soppianta quello geografico.
E' di tutta evidenza, quindi, che bisognerà trovare nuovi modi per tutelare e remunerare la proprietà intellettuale. Da tale quadro emerge, come ha manifestato la Dottrina recente ed ha ampiamente dimostrato l'attività di ricerca CNEL, che la situazione sottostante al movimento di riforma professionale (accesso e esercizio) è sinteticamente il seguente: 1) esiste un crescente, spontaneo ricorso alla elaborazione di professionalità nuove o esercitate con nuovi strumenti, accettate dal Mercato assieme a quelle tradizionali; 2) la consistenza dei servizi offerti - per entrambe le situazioni, tradizionale e moderna - è misurabile dalla quantità e qualità di Conoscenze offerte; 3) la normativa comunitaria e la realtà produttiva internazionale impongono un ripensamento di quelle logiche che avevano portato a costruire degli albi protezionistici per gli esercenti professioni; 4) la richiesta di qualità da parte dei Cittadini e di tutela da parte dei Consumatori, richiedono che si addivenga ad una regolamentazione dell'esercizio delle professioni, sufficientemente duttile e aperta alle innovazioni.
Le implicazioni socio-economiche (per non parlare di quelle politico-istituzionali) sono tutte da studiare; basti pensare che si vengono fin d' ora a creare forme trasversali di economia (come i circuiti delle carte di credito) e di poteri (per esempio di società telematiche e telefoniche), solo lontanamente appaiabili al vecchio capitalismo e al vecchio colonialismo. Con la c.d. ' Net-economy ', quindi, siamo di fronte a un fenomeno epocale, che cambia radicalmente le condizioni studiate dalla economia c.d. tradizionale.
C'è ormai crescente consapevolezza di questo, anche perché lo sviluppo è rapidissimo e ormai sotto gli occhi di tutti; 200 ml. di utenti Internet, 500 ml previsti nel 2003; 62 mila nuovi utenti ogni giorno in USA; dove l'E-Com raggiungerà 1 trilione nei prossimi anni, 5-10% del commercio mondiale; in Europa dal 11% attuali al 33% previsto entro il 2003. Anche in Italia, gli indicatori stanno registrando una crescita di utenti negli ultimi mesi. Internet cresce, ma è ancora vista come strumento per accedere e scambiare informazioni. E' ancora il momento dei precursori, della frontiera, di coloro che per primi intuiscono le potenzialità di Internet come mezzo per fare business; già nascono imprese nuove, le 'Net-generation Companies', che affermano nuovi modelli / nuovi fattori di competitività. Ma da alcuni mesi si è avviata una seconda fase: imprese e istituzioni tradizionali hanno iniziato a investire su Internet, spinte dalla competizione delle Net companies e dall'estendersi delle opportunità sulla rete, cui accedono fasce sempre più ampie di altre imprese e di consumatori.
E qual è il punto focale del fenomeno? Il trasferimento delle attività economiche sulle reti , che - tra l'altro - comporta una totale saldatura tra attività economica e tecnologie dell'informazione. Dunque, siamo nel mezzo di una trasformazione centrata sulle singole Imprese, ma anche sulle Istituzioni e sul Cittadino. Non a caso si è parlato di concorrenza in rete , non solo e non tanto per le imprese, ma anche e soprattutto per le Istituzioni e per le Norme.
Trasformazione epocale quindi, che necessita di sviluppare tutta una serie di supporti +tecnologici e di servizi, in cui il commercio elettronico è solo una parte della trasformazione, ma che deve comunque integrarsi in quel cambiamento complessivo ('supply chain', 'modelli di lavoro e di comunicazione all'interno dell'impresa', ecc.). Soprattutto in Europa, il commercio 'business to business' si sta sviluppando più rapidamente di quello 'business to Consumer' e questo si verifica in mercati di ogni tipo: beni, servizi, commodities, salute, formazione, mercati del lavoro. In tale contesto, possiamo poi dire che si vanno costituendo degli 'e marketplaces', che fanno emergere e in prospettiva smantellano, tutte le inefficienze strutturali dei tradizionali mercati fisici.
Questo grande scenario (nuove imprese, e-business, nuovi mercati, e-marketplaces) che non dobbiamo perdere di vista, deve indicarci qualcosa di operativo, ora, per le Imprese e per il nostro intero Sistema-Paese. Infatti, il singolo imprenditore si potrebbe domandare: che cosa faccio ora ? in che direzione investire, come comincio ? quali saranno i costi ed i rischi ? come stimolare lo sviluppo successivo dell' E-Com ? Ma, in effetti, quali sono gli obiettivi di politica industriale che si possono / devono perseguire a livello nazionale e comunitario ?
Il problema - tanto da un punto di vista micro-economico, quanto e soprattutto macro-economico ed istituzionale - non è tanto tecnologico, quanto strategico. Occorrono nuovi modelli di Business, non solo Tecnica; quindi, occorre differente Cultura.
In conclusione e conseguentemente a quanto affermato, ritengo di poter dire che il Lavoro non è merce, ma lo è la Tecnologia che vi è insita . Al primo bisogna quindi dare la giusta dimensione , ma alla seconda si deve fornire il corretto inquadramento .
Carlo Cesare Carli - giuristeconomista d'impresa esperto e docente Diritto Internazionale Tributario