TECNICA NORMATIVA E POLITICA TRIBUTARIA PER LE AUTOMIE LOCALI, IN UN CONTESTO ECONOMICO INTERNAZIONALE .... TRA SEMPLIFICAZIONE, EFFICACIA E FEDERALISMO [1]
Carlo Cesare Carli [2]
Premesse
Lo scopo del mio intervento è duplice: evidenziare la specifica portata ed importanza della semplificazione legislativa e della preanalisi di fattibilità normativa, nell'ambito tributario; accennare all'enorme problema della valutazione di ricaduta in ambito locale di una norma (esistente od in fieri) estera, comunitaria ed internazionale. In sostanza: la necessità di avere poche norme, semplici ed efficaci, oltre che adeguate ai continui mutamenti istituzionali e/o del Mercato.
Evidentemente, se già arduo è il compito di esaminare con approfondita cognizione le prospettate tematiche, impossibile è sviluppare un compiuto studio di esse, nel breve spazio di un intervento.
Posso cercare, tuttavia, di rendere compiuto il senso del mio ragionamento, partendo dalle sue basi logiche ed accennando alle conseguenze, riservando a future occasioni di eventuali approfondimenti.
Innanzitutto, desidero richiamare due parole che rappresentano altrettante situazioni e fenomeni: "comunicazione" e "tecnologia". Secondariamente, tre condizioni o modi di essere della realtà socio economica: "globalizzazione" dei mercati; "connessione" tra le reti infrastrutturali; "standardizzazione" di beni, prodotti e servizi, ma anche di norme ed istituzioni.
Mutamenti qualitativi e strutturali del Quadro istituzionale e del Mercato - le Aree e le Zone
Quindi, da una parte, si può sottolineare l'avvenuto aumento - in quantità e qualità - della Comunicazione come tale e si può ricordare come essa corrisponda, non solo al "meccanismo di trasmettere" informazioni, ma anche e soprattutto di "fornire dati". Non solo, pertanto, comunicazione di notizie, ma anche di comportamenti; quindi, anche di scopi che si vogliono perseguire. Ciò, peraltro, vale non solo per la Comunicazione istituzionale o pubblica, ma anche per quella privata (ed è diversa dalla Pubblicità). In sostanza, oggi la Comunicazione si fonda sull'esigenza - largamente intesa e richiesta - di "trasparenza nei rapporti".
Dall'altra parte, da qualche anno a questa parte si riscontra un aumento - sia in termini quantitativi che qualitativi - delle risorse tecnologiche, che rappresentano la vera fonte di ricchezza per persone, Paesi, Aree.
La tecnologia oggi permette, anche a motivo del suo basso costo e della sua progressiva "umanizzazione", sempre più un utilizzo indiscriminato anche delle (sempre meno disponibili) risorse materiali: in entrambi i casi, essa non necessita - spesso e soprattutto per i suoi applicativi - di specifiche conoscenze tecniche; peraltro Chiunque, anche singole persone fisiche e Paesi molto poveri, può avervi accesso.
Nello specifico, è aumentata la comunicabilità della tecnologia, ma anche la tecnologia della comunicazione. Ciò ha tra l'altro concorso a determinare un aumento enorme degli scambi commerciali, a livello internazionale; ma ha anche, d'altra parte, contribuito ad annullare gli effetti distorsivi di barriere tecniche ed anche atecniche agli stessi scambi. E con tale effetto, di tatto si è andati ben oltre gli scopi di "armonizzazione" che gli sforzi formali e normativi si proponevano a livello comunitario ed internazionale.
Non è, infatti, un caso che negli anni '80/'90 si è potuti pervenire ad una relativamente rapida integrazione giuridico economica dell'area comunitaria dell'Europa. Ma ciò è stato possibile nella persistenza di regole oggi non più attuali, tra le quali la equipollenza dei blocchi di Est ed Ovest, la maggiore materialità della Tecnologia e la fisicità dei confini territoriali e delle barriere economiche.
Oggi, accanto ad un riacutizzarsi delle crisi socio economiche (e quindi politiche) tra Sud e Nord, si assiste ad una nascita di crisi zonali interne a quelli, basata proprio sulla mancanza di equilibrio internazionale. È in questo quadro che, pertanto, si pone la nascita di situazioni quali il c.d. Nord-Est italiano, inscindibilmente connessa - tuttavia - al complessivo quadro comunitario europeo.
La U.E. - nei primi anni '90 - avrebbe potuto proporsi quale "terzo polo". Invece, probabilmente a causa delle diverse valutazioni sulle risposte comuni da dare alla crisi internazionale, nonché per le diverse visioni in materia di integrazione comunitaria, specie da parte di Francia (la U.E. quale "confederazione", preservante le condizioni per l'autonomia nazionale) e di Germania (la U.F. quale "federazione", gestore della completa integrazione giuridico economica, in cui le regole del libero mercato premiano il più forte), oggi - 1996 - si assiste ad un fronte non unitario nella gestione delle crisi politiche ed economiche.
Tra le situazioni alle quali fare fronte vi è quella della crescente conflittualità di zone, anche all'interno della stessa Area; zone che sono - o credono di costituire - situazioni territoriali economicamente omogenee e, quindi, ritengono di poter dare luogo a conseguenti "situazioni" politico istituzionali altrettanto omogenee. Vari gli esempi, dei quali il caso più noto è la creazione della comunità c.d. Alpe Adria (Comunità istituita nel 1978). Altri sono: l'Euregio (Comunità nel 1950; addirittura un Euregio-Rat, nel 1978); la Regio Egrensis (progetto del 1977; quindi Comunità con ufficio di rappresentanza, nel 1992); l'Euregio Pomerania, quella Viadrina, quella Spree-Neisse-Bobr, quella Neisse-Nysa (tutti progetti del 1992); l'Euregio Tirolo progetto del 1995); per ultimo, vi sarebbe la Padania (dichiarazione ufficiale 1996). Si ricordi, comunque, che l'idea di una Europa delle Regioni, veniva già espressa nel Trattato C.F.F. del 1957 il quale tra l'altro specificatamente prevedeva fra le sue politiche essenziali, proprio la Politica Regionale Comune, peraltro destinataria di una specifica forma di finanziamento (il fondo strutturale F.S.R.).
Analisi fenomenica dei mutamenti economici e dei problemi strutturali
La comprensione di queste crisi e la loro possibile gestione risulta strettamente influenzata dalla situazione mondiale e da fattori che permettono la estrema interferenza di questa sulle singole economie e sui singoli ordinamenti giuridici. Tre sembrano essere i fenomeni da considerare a questo proposito: globalizzazione (dei mercati); connessione (delle reti infrastrutturali); standardizzazione (di fattori produttivi, prodotti e servizi).
Infatti, basandosi sull'aumento della Comunicazione e della Tecnologia, i mercati internazionali si sono progressivamente interconnessi e poi globalizzati, divenendo sostanzialmente una sorta di "mercato unico mondiale". Questo effetto, comunque, risulta strettamente collegato, sia al fenomeno della crescente "Connessione infrastrutturale" dei vari sistemi giuridico economici, sia a quello della "Standardizzazione", che ha caratterizzato dapprima le norme, poi le istituzioni, quindi i prodotti / servizi e gli stessi processi produttivi.
Conseguentemente, appare del tutto inutile - alfine di una vera e concrèta risoluzione (sia pure, prevedibilmente, solo nel breve / medio periodo) - ipotizzare una sorta di "sub-zona" quale quella del Nord-Est italiano; che dovesse prescindere da un contesto più vasto e gestibile quale la zona austro-slovena.
Certo è vero che il modello delle piccole e medie imprese italiane del Nord-Est è stato preso ad esempio anche dal Vertice del G7 riunito nel gennaio '96 a Lille, quale efficace strumento per rilanciare l'occupazione. I loro risultati, tuttavia, ritengo evidenzino solamente una "nicchia strutturale del mercato", in cui si sono potuti formare e sviluppare - anche grazie a fattori produttivi evidentemente soggettivi - aziende snelle nelle strutture e duttili nel rispondere alle differenze strategiche. Esse quindi sono state efficienti ed efficaci sul mercato mondiale, pronte a sfruttare la loro stessa flessibilità strutturale, le anomalie dei differenti regimi giuridici nazionali, la capacità di estro inventivo italiano e, specificatamente, le differenze di cambio valutario internazionale.
Tutto questo, peraltro, non ha corrisposto ad un impegno delle stesse, per uno sviluppo delle infrastrutture nazionali che, solo, potrebbe determinare una più duratura evoluzione degli scambi internazionali ed una migliore gestibilità degli stessi da parte delle Autorità pubbliche.
Possibili soluzioni, in campo amministrativo e tributario
Già, si tratta proprio della "gestione" che deve esser effettuata da parte delle pubbliche Autorità. Poiché, un federalismo non gestito dallo Stato - o dalla U.E., eventualmente - comporterebbe di fatto una secessione, che si consoliderebbe a medio termine, sotto l'influsso attrattivo della zona limitrofa, economicamente (o politicamente) più forte. Per l'Italia, a mio parere, ciò costituirebbe anche un ulteriore fallimento nella propria politica estera (possibile, peraltro, solo quando vi sia chiarezza in quella interna) ed avrebbe effetti simili a quanto già avvenuto per la mancata "gestione" della propria presenza nell'ambito dell'economia comunitaria, cosa che ha prima "di fatto" e poi "in diritto" - aperto le frontiere (fisiche e concettuali) agli operatori esterni, che hanno spesso avuto il sopravvento rispetto a quelli interni, più avvezzi al protezionismo che al liberismo.
La funzione nazionale deve quindi essere forte e chiara. Innanzitutto, debbono decisamente prendersi le vie della semplificazione normativa e della trasparenza gestionale, nonché dell'eliminazione di storture burocratiche e dell'adozione di ampie liberalizzazioni regolamentate.
In questo ambito, ad esempio, potrebbe esser considerata utile l'adozione di un regime di federalismo tributario. Ma ciò, credo, a tre condizioni: che sia pensato in connessione con l'ordinamento giuridico comunitario e con le circostanti economie; che non si tratti né di camuffato regionalismo secessionista, né di un mero decentramento burocratico per la spesa pubblica; che si attui una complessiva riforma del sistema fiscale, basato non solo sulle indispensabili semplicità e chiarezza, ma anche su nuovi criteri (ruolo autoritativo del Potere della Amministrazione Finanziaria; potestà finanziaria locale anche sulle entrate, non solo sulle spese; utilizzo della ricchezza, non più del reddito, quale criterio base per arrivare al presupposto d'imposta).
A tale proposito, dall'esame comparato dei vari sistemi fiscali a carattere "federale", possono esser fatte alcune considerazioni:
1) innanzitutto non esiste un solo tipo di federalismo, né dal punto di vista giuridico, né da quello specificamente tributario. Nel mondo, veri anche se non identici tipi di federalismo (c.d. "proprio") possono riscontrarsi solo in Svizzera ed in U.S.A.; per altri versi, Canada, Sud Africa, Brasile e Belgio possono essere chiamati sistemi federalisti ("impropri"). 2) Secondariamente, la vera peculiarità - da un punto di vista tecnico - che distingue i sistemi federali dagli altri, è la titolarità di autonomia di entrata riconosciuta alle singole entità locali, oltre all'autonomia di spesa. In caso contrario si avranno solo forme di decentramento e delocalizzazione. 3) Quasi ovunque, il momento della percezione del tributo avviene in unica soluzione; successivamente si ha la ripartizione di gettito ex lege tra Autorità federali e nazionali / locali. 4) Normalmente si tratta di sovra-imposte (più spesso sono tributi diretti) e non di tributi veri e propri di esclusiva pertinenza dell'Ente sottostante. Due ulteriori caratteri sono tuttavia sempre presenti: 5) la semplificazione quantitativa e qualitativa delle norme utilizzate; 6) la razionalizzazione sistemica, interna (norme nazionali per l'estero) ed esterna (norme convenzionali).
Da un punto di vista strutturale, si può dire più in particolare che:
(A) in Svizzera sono tre i livelli impositivi: federale - tributi su reddito (tra il 3,63% ed il 9,8%) e su patrimonio netto (0,0825%) societari, su reddito delle persone fisiche (max 12%), sull'i.v.a. -, cantonale - tributi complementari sugli stessi presupposti (tra 12 e 35% sul reddito societario e tra 0,3% ed 1,3% sul patrimonio netto) ed inoltre tributi immobiliari, per successione e donazione, per circolazione auto -, municipale - tributi addizionali a quelli cantonali -. Le Autorità cantonali possiedono piena potestà impositiva; in complesso quindi esistono 27 sistemi fiscali: 1 federale e 23 cantoni, dei quali 3 sdoppiati. Dette Autorità godono anche di piena capacità "contrattuale", nei confronti di investitori interni od esteri che, intendendo sviluppare nuove attività e conoscere anticipatamente il proprio onere tributario, chiedano la concessione di particolari condizioni. In connessione al variare di esigenze di bilancio, ogni anno possono variare le aliquote d'imposta dei vari livelli.
(B) in Germania, il sistema fiscale non è propriamente di tipo "federale"; esistono due livelli di imposizione - nazionale e territoriale - ma unica è la normativa (nazionale). Il livello nazionale di imposizione si rivolge al reddito societario (30% e 45%), al patrimonio netto delle imprese (0,6%), al reddito delle persone fisiche (tra 24% e 43%); il livello territoriale (i Lander) si rivolge al reddito commerciale (tra 11% e 19%), al patrimonio netto personale (0,48% - 0,96%), agli immobili, all'i.v.a., alla tassa sulla chiesa.
(C) in Belgio, sostanzialmente il sistema fiscale - a livello nazionale - prevede un'imposta sul reddito societario (pari al 390%, ma al 43% sulle filiali di società estere) e su quello personale (dal 25%, fino a Fb. 253.000, al 551/4, oltre a Fb. 2.422.000); mentre, a livello locale, oltre ad essere destinatari di una quota annualmente variabile delle dette entrate, le Autonomie percepiscono i proventi dalle tasse sugli immobili.
(D) in Brasile esistono tre livelli impositivi: federale (imposte sul reddito personale - dal 15% fino a UFIR 2000, al 25% oltre detta cifra -, sul reddito societario - pari al 30% -, imposte su immobili, dogane, transazioni finanziarie, capitale societario, i.v.a.), nazionale (sovrimposte sui redditi di società e di persone fisiche - pari al 5% del tributo federale netto -, i.v.a., tributi per successioni e donazioni e su autoveicoli), municipale (imposta sui servizi, pari al 5% e sugli immobili). La Costituzione proibisce espressamente alle Autorità fiscali non federali di imporre od aumentare tributi autonomamente.
(E) il regime fiscale del Canada prevede: a livello federale, tributi sui redditi di società (28%) e di persone fisiche (max 29%) e l'i.v.a.; a livello provinciale (10 province): tributi sul reddito societario (tra il 7% ed il 13%), su quello personale (tra il 15% ed il 20%), oltre all'imposta sul capitale societario (fino al 3%). Tranne il Quebec, le varie province possiedono stessi parametri per misurare i redditi e non percepiscono direttamente i relativi tributi, essendo le rispettive imposte delle percentuali di quelle federali.
(F) il regime fiscale degli U.S.A. prevede tre livelli di Autorità: quella federale (che percepisce il tributo sul reddito societario - pari al 34% -, sul reddito delle persone fisiche - 15%, fino a $36.000, 28%, fino a $86.000, 31%, oltre detto importo - e le tasse doganali, le accise e le tasse immobiliari), quelle nazionali (tributo sul reddito società, basato sul capitale o sul reddito, ovvero pari ad una advanced minimum tax del 20%; imposte sulle vendite e sugli immobili, con aliquote molto variabili; imposte sul reddito personale, con aliquote dallo 0 al 12%) e quelle locali (tributi sul reddito società - 0/12% -, sul reddito personale - in genere pari all'1%, tranne N.Y. dove vige il 4%-, imposte sulle vendite e quelle sugli immobili, con aliquote variabili). Di norma: tutti i detti tributi sono dovuti in uno stesso Stato ed in un'unica soluzione; le imposte nazionali e locali sui redditi sono deducibili ai fini del calcolo di quelle federali; le Autorità fiscali nazionali possiedono una limitata potestà impositiva, come tale valida però anche per l'applicazione delle convenzioni internazionali.
(G) ricordo poi che in Spagna, dove il sistema fiscale non è di tipo federale, viene riconosciuta una certa autonomia municipale e provinciale. A livello nazionale, sul reddito societario grava un'aliquota del 35%, sul reddito personale delle aliquote crescenti dal 20% (fino a PS. 10 Mil) al 53% (su Ps. 10 Mil). A livello locale esistono: una tassa della Camera di commercio, pari a circa l'1%, quale sovrimposta sul reddito; una tassa sugli affari, corrispondente ad una quota minima municipale o provinciale (quota base x Tariffa attività + Area m2) con coefficienti di correzione; tasse su immobili ed i.v.a.
Mentre in Danimarca, il livello nazionale prevede tributi: su reddito societario (34%), di persone fisiche (dal 44%, fino a Cd. 130.900, al 63%, oltre Cd. 236.600) al netto di imposte locali e per il culto, sul patrimonio (1%); mentre il livello locale prevede: un'imposta sul reddito personale (30,4%) al netto di quella per il culto, una sopratassa personale (5%) ed un'addizionale e della stessa imposta per il culto (da 0,4 all'1%).
In sostanza, può costituire scelta strategicamente valida quella di incentivare la creazione di un federalismo giuridico, anche più ampio quindi di quello meramente fiscale, ma non per aumentare il divario economico tra territori nazionali, bensì per gestirli meglio. Questo, tuttavia, sembra possibile solo nel quadro di un contesto più largo, quale quello - oggi - della U.E., in cui - tuttavia - venga riscoperto il valore ed il ruolo di una integrazione politica oltre che economica, al di là delle rigidità tecniche imposte dal Trattato di Maastricht.
In particolare: il controllo preventivo delle norme e la loro semplificazione
Pertanto la pre-analisi di efficienza delle norme e l'evidenziazione della portata di semplificazione e chiarezza normative sono, comunque situazioni da considerare strettamente connesse a quello che oramai è da molti studiosi considerato come un insieme di problemi:
A) la globalizzazione del mercato, B) la diluizione dei valori istituzionali/guida, C) le nuove forme di ricchezza, D) la trasformazione industriale, E) l'impatto di nuove e sempre meno costose tecnologie, F) i cambiamenti climatici ed ambientali.
In tale contesto, conseguentemente, il misurare la efficienza della rete normativa e l'analizzare il nuovo sistema produttivo nazionale rappresentano -oltre che la teorica base per dare concretezza ad una efficiente politica fiscale - due essenziali attività che non possono - poi - neppure prescindere dalla considerazione di quanto avviene al di fuori del Paese.
Noi siamo all'interno di una area giuridica che - oramai - risulta, volutamente o meno, di diritto o di tatto ,grandemente integrata.
Ci troviamo, altresì, per i detti sei motivi, all'interno di una area geografica che si va progressivamente addensando e commistendo (e che tocca, non solo l'area dell'Europa Orientale, ma anche il Bacino Mediterraneo), tanto da divenire - a breve tempo, ritengo - anche una area economica tendenzialmente e forzatamente omogenea.
Ancora una volta, quindi, con il rischio di ripetermi, devo sottolineare come le tematiche attinenti alla COMUNICAZIONE ed alla INTERCOMUNICABILITA' siano sempre più attuali e pertanto da monitorare e studiare: comunicazione di azioni, di fini, di risultati, sia a livello privato che pubblico; intercomunicabilità tra sistemi di valori, giuridici ed economici. Sembra quindi chiaro che, quello che ieri poteva esser solo un problema tecnologico (la concreta possibilità, cioè, di connettere il lavoratore ed il cittadino con un ufficio o un'istituzione) ora diventi grave problema sotto tanti e diversi punti di vista. Nel campo tributario, ad esempio: tassare il flusso di reddito virtuale e le nuove forme manifestanti-ricchezza, nonché una generale ridefinizione del sistema impositivo che consideri l'incongruenza delle vecchie categorie reddito/consumo e territorio (per puntare sui flussi di ricchezza); in quello sociale: calcolare gli spostamenti di masse intere di individui, la loro stanzialità, i costumi ed i consumi; in quello economico: sviluppare gli indici macroeconomici, quale il P.I.L. od i misuratori dell'inflazione importata (ora che l'economia nazionale risulta collegata ed interconnessa con quella di area); in quello giuridico: come si tutelano i lavoratori, gli utenti, i dati.
In questo ambito, pertanto, misurare l'efficienza di una norma vuole anche e soprattutto significare valutare quale potrà essere la probabile ricaduta sul "sistema" di una norma (esistente od in fieri) o di una tendenza normativa estera od internazionale o comunitaria, e viceversa.
Valutazione di efficienza che, pertanto, è strettamente unita ad una valutazione della efficacia, cioè della sua concreta capacità di perseguire attivamente gli scopi prefissatisi, avuti presenti i mezzi predisposti.
È ovvio che questo discorso ci porta all'analisi comparativa dei costi ed all'esame qualitativo dei risultati. Controlli, questi, fin'oggi ritenuti di esclusiva pertinenza della azienda privata; ora, anche dell'azienda-P.A., - Ente locale e quindi dello Stato nel suo complesso.
Conclusioni
In questo quadro, conseguentemente, l'idea già peraltro emersa dal recente convegno della Accademia Europea (svoltosi il 15 maggio scorso, a Roma presso il CNEL, dal titolo "Comunicazione istituzionale e Intercomunicabilità tra sistemi giuridici nella U.E.") è quella che la stessa nuova dimensione - globale, multinazionale, interconnessa, standardizzata - in cui deve competere l'operatore (privato e pubblico) nazionale conduce alla necessità di una gestione della propria presenza sul campo concorrenziale, attraverso una attenta strategia culturale e normativa, oltre che industriale. In caso contrario lo scenario che si può presentare può esser quello che, reso con un immagine tratta dalla Fisica, è quello dei "vasi comunicanti": i liquidi interconnessi si ripartiscono nei vari vasi a seconda del loro peso specifico; in altre parole, l'operatore - sia esso privato o pubblico, peggio ancora Stato o ente locale - qualora non riesca a costruire e comunicare una immagine di stabilità e ricchezza, risulta un perdente.
In un mondo che cambia, operare in un contesto senza più frontiere fisiche (né giuridiche!) comporta essere concorrenziali. Compito dello Stato e delle Istituzioni sovranazionali è, conseguentemente, quello di porre delle regole affinché detta concorrenza sia sì effettiva, ma anche priva di iniquità.
E, credo, anche per questi motivi che si può prevedere (pur se, forse, potrebbe non apparire completamente auspicabile) l'innalzamento di nuove frontiere, questa volta economiche. Cioè, non una rinnovata creazione di barriere tecniche o atecniche agli scambi, ma la creazione - internazionalmente concertata - di aree (o sub-aree) omogenee, ove si sviluppino equilibrati sistemi economici, nelle quali vitali siano l'influenza e l'intervento di forti poteri regolatori.
In tal modo, all'equilibrio dei "blocchi contrapposti" ed a quello dei "poteri transnazionali", in un contesto internazionale e globale attuale che appare come una perversa applicazione della legge fisica dei vasi comunicanti, si potrebbe contrapporre - positivamente - quello dei "micropoteri". E questo, ritengo, consentirebbe a delle forti e regolamentate autonomie locali di estrinsecare al meglio le proprie potenzialità, nel rispetto degli interessi propri e dell'Area cui appartengano.
[1]Contributo al Convegno svoltosi a Genova nel 1996, organizzato dal Consiglio Regionale della Liguria; è consultabile, assieme a tutti gli atti, in: http://www.parlamentiregionali.it/documenti/doctecnichelegislativeCD/volume1/1901.htm#22
[2] Carlo C. Carli, giureconomista d’impresa, è esperto di diritto tributario internazionale, specializzato in comunicazione istituzionale ed di diritto dei consumatori, direttore www.covalori.net, presidente AGEIE.