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CLASS ACTION – ERA TEMPO…

Da poco è stato approvato dalla Camera dei deputati il disegno di legge che introduce nella legislazione italiana l’azione “di gruppo” meglio nota col termine di “CLASS ACTION”.

La Class Action è strumento di origine completamente americana e si deve alla “fantasia” e all’iniziativa dell’avvocato Ralph Nader il quale nel 1965 trascinò in Tribunale nientemeno che la General Motors, contestandole l’insicurezza di un’autovettura da loro prodotta e commercializzata (Chevrolait Corvair). La G.M. andò in causa  certa dell’esito del processo, anzi querelando l’avvocato Nader di diffamazione. Perse, fu condannata a pubblica ammenda e a risarcire profumatamente l’intraprendente avvocato americano.  Era iniziata l’era del “consumerismo”, l’era delle class action,l’era della difesa e dell’attacco di gruppo. Per la prima volta una sola azione legale aveva rappresentato gli interessi di una molteplicità di soggetti che erano anche e soprattutto consumatori lesi nello stesso diritto e rappresentati come una sorta di unico, grande cliente.

La class action, in tal modo, acquisiva subito quella peculiarità che non avrebbe più perduto: mettere in stato di equilibrio – rispetto all’avversario - un soggetto altrimenti debole e certamente sconfitto se operante da solo, in realtà forte e potente se unito ad una massa di individui con la stessa doglianza, con la stessa richiesta, con lo stesso danno.

Naturalmente sarebbe errato pensare di potere applicare i meccanismi americani al sistema italiano. Esistono infatti situazioni e caratteristiche che mai potrebbero trovare applicazione nel nostro paese. Pensiamo innanzitutto al peso che hanno nella c.a. le “giurie popolari”, costituite da cittadini estratti a sorte e normalmente simpatizzanti per la causa di solo consimili;

pensiamo al peso che ha la lobbie degli avvocati la cui “aggressività professionale” in questo particolare ambito è altissima, venendo soddisfatti economicamente tramite una percentuale sul ricavato della causa: più alto è il risarcimento, pi lo sarà la loro provvigione.

Pensiamo ancora alla anomalia che vede sovente gli avvocati promuovere la c.a. e solo dopo pubblicizzarla tra i consumatori, cercando, diciamo così, adepti che si costituiscano nel procedimento, ingrossando il più possibile le fila degli scontenti: pensiamo infine all’istituto del cosiddetto “punitive damage”, ossia la condanna ad un risarcimento elevatissimo, sovente maggiore del danno effettivamente patito,  quale ristoro per le sofferenze morali, psicologiche patite dai danneggiati; ma soprattutto esempio fondamentale per altre imprese o multinazionali a non perseguire le medesime strade, col rischio di vedersi costrette a pagare milioni di dollari. Ford e Fireston persero 10 miliardi di dollari, 8 pare ne siano stati chiesti negli Stati Uniti a seguito del crack Parmalat. Ma questa è storia ancora da scrivere.

In Italia tutta questa interessante architettura non solo non esiste, ma neppure starebbe in piedi. Non esiste ruolo così influente delle giurie popolari, che negli U.S.A. rappresentarono una delle primigenie forme di tutela degli imputati dal momento della costituzione dell’Unione. Non esiste ancora quella che potrebbe definirsi “tort litigation” così diffusa e specifica area di azione legale come negli stati uniti; e non può dirsi neppure esistente una lobbie degli avvocati tale da potersi catalogare – diciamo così – come avvocati “consumeresti”. Vuote per noi anche il concetto di “punitive damage”.

E’ certo però che si è fatto un passo enorme con il lavoro della Camera dei Deputati, prima di tutto completando una ricca e completa legislazione in materia di tutela dei diritti dei consumatori; poi perché comunque si tratta di un passo che andrà affinato ma che va certamente nella direzione di una maggiore protezione dei dritti dei cittadini consumatori.

Pordenus, novembre 2004

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