Sei nella pagina: terza pagina / Consumatori / -dir.lavoratori e dir.mobilità cittadini (M.Finzi 2003)

Consumatori

L'obbligo d'informazione preventiva (Ettore Battelli)
diritto dei consumatori (BRANCALEONI)
-i codici di condotta volontari
- diritto comunitario d.consumatori (Brancaleoni)
- le CLASS ACTIONS (vari contributi dalla stampa)
-CESE parere'04su Prop.Regol."cooperaz.tra consumatori"
-dir.lavoratori e dir.mobilità cittadini (M.Finzi 2003)
- CLASS ACTIONS, nuovo DDL alla Camera (Pordenus2004)
- Le operazioni di concentrazione (Anti Trust 2002)
- politica UE per i Consumatori
-Principi generali G.Giust.CE su procedura amminist.-tribut.
- TAR Lazio 2005 -appalti -fideiussione -autentica notarile
- CORTE D.CONTI evoluzione compiti (S.Buscema)
- ancora su RESPONSABILITA' SOCIALE D'IMPRESA
-CONSUMATORI: Associazioni Rappresentanza Partecipazione
-qualifica ONLUS - regime tributario (Ag.Entr.-risdoluz.2005
-la BIOTECNOLOGIA salvera' la nostra agricoltura (Battaglia)
-ONLUS -requisiti per la qualificazione (Circ. Min.Fin.1998)
-Cittadino-Consumatore e accesso alla Giustizia
- CARTA DEI DIRITTI DEL PASSEGGERO
- su ATTIVITA' DIREZIONE E CONTROLLO (nuovi arttt. cod.civ.)
- volontariato in Italia - origini e stato attuale
- Regione Lazio - convenzione con le ass. cons.
- ......Tutti a bordo della Freccia del Sud .....
- class action, non in Italia per ora -salve eccezioni
- Carta dei Valori del Volontariato
a proposito di privacy
12.12.06 - CARLI - origine e tracciabilita' prodotti
Carli, 14.2.06 - il COSTO SOCIALE DELLA QUALITA'
Carli 12.1.07 -consumatori, imprese e istituzioni-giocatori
Capicotto, 15.01.07 - Cassazione e nullita' multe parcheggi
Carli 20.01.07 - CONSUMI E PUBBLICITA'
Troia 20.01.07 - esempi di tracciabilita' del prodotto
Carli 25.01.07 - consumatori cittadini e mercato del lavoro
Capicotto, 21.02.07 -Consiglio Stato e lettimazione ad agire

-dir.lavoratori e dir.mobilità cittadini (M.Finzi 2003)

Si ripropone il tema del bilanciamento del diritto alla mobilità dei cittadini con i diritti dei lavoratori all'esercizio delle azioni sindacali per la difesa delle condizioni di lavoro.

E il tema viene posto all'interno di una discussione ampia e approfondita sulla liberalizzazione dei sistemi ferroviari che dovrebbe contraddistinguere questa fase della storia economica dell'Europa.

Per chi, come me, deve esprimere il punto di vista degli utenti su questo tema, c'è un senso di fastidio e, quasi, di noia nel dover ripercorrere, con pochi sprazzi di novità, ragionamenti già fatti e rifatti in Italia da almeno 10 anni in tutte le sedi pubbliche presso le quali è stato dato modo agli utenti organizzati di esprimersi.

Per di più c'è il fastidio ed il senso di lacerazione interiore che viene dal fatto che la difesa legittima della posizione della parte debole 'utente' viene spesso brandita e strumentalizzata contro l'altra parte debole 'lavoratore'.

Ma siccome per questo, in tanti anni, non ho trovato rimedi efficaci, svolgerò il mio ruolo fino in fondo e senza infingimenti e dichiarando fin da ora che, dal punto di vista degli utenti italiani del trasporto ferroviario questo bilanciamento dei diritti non c'è mai stato, che la tutela dei diritti dei lavoratori è stata sempre anteposta a quella degli utenti, sia pure con accentuazioni via via meno pesanti, e che l'avvio del processo di liberalizzazione non ha ancora spostato di una virgola la situazione preesistente.

Cercherò di dimostrare queste affermazioni.

 

Il  legislatore non crede alla parità dei diritti di utenti e lavoratori.

 

Dal 1987 l'Assoutenti cominciò a mettere pubblicamente in discussione la legittimità assoluta della pratica degli scioperi nei servizi pubblici e la sua azione, a quei tempi alquanto isolata e ardita, non fu estranea alla lenta costruzione di un'opinione pubblica favorevole alla loro limitazione per legge. Per quei tempi parlare di una REGOLAMENTAZIONE PER LEGGE era un vero e proprio tabù.

La legge146 del 1990, con i suoi pregi e difetti, è stata il caposaldo di un modo nuovo di intendere il tema degli equilibri dei diritti. Dopo di essa la legge di riforma 11 aprile 2000, n. 83, ha affrontato temi importanti, quali l'effetto annuncio, le procedure preventive di raffreddamento e di conciliazione, i periodi di franchigia, gli intervalli minimi tra successive proclamazioni. Temi ispirati dall'emersione del diritto dei cittadini alla mobilità e che sono stati sempre richiesti dalle associazioni dei consumatori, da ultimo anche da quelle di ispirazione sindacale.

 

Ma la legislazione non ha mai seriamente affrontato il tema centrale della questione 'sciopero nel settore dei trasporti', che è quello della legittimazione a dichiararlo.

 

La definizione dei problemi della rappresentanza e della rappresentatività investe oggi tutti i soggetti politici.

Riguarda, con sempre maggiore convinzione da parte dell'opinione pubblica, i partiti politici ai fini della loro rappresentanza in Parlamento.

Nessuno si scandalizza più se affermo che il partito che non ha almeno il 5 % dei voti a livello nazionale ed una presenza ramificata sul territorio non deve entrare in Parlamento (e già oggi chi non ha almeno un certo numero di parlamentari non può costituire un gruppo parlamentare autonomo e, di conseguenza, non può esercitare un certo genere di poteri politici).

Nessuno si è stracciato le vesti quando la legge n.281 del 1998, con la quale si è dato riconoscimento alle associazioni dei consumatori, ha imposto quali requisiti di rappresentatività per tale riconoscimento l'avere almeno 30.000 iscritti (5 per mille della popolazione nazionale) e il 2 per mille degli abitanti in almeno 5 regioni, non meno di cinque sedi operative in altrettante regioni, essere costituite con atto pubblico da almeno tre anni, tenere aggiornati i libri soci, etc.

E solo a queste 'associazioni rappresentative' la legge 83 del 2000 riconosce il diritto di partecipare alle consultazioni della Commissione di Garanzia, per il parere sulla congruità dei servizi minimi essenziali.

Nulla invece si osa dire sulla rappresentatività delle organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro, nonostante la ormai grottesca frammentazione oggi esistente, che è alla base della difficoltà di composizione dei conflitti e che rappresenta la prima causa di inefficacia degli strumenti di regolamentazione degli scioperi.

Ne consegue il paradosso che per proclamare uno sciopero e bloccare un servizio di trasporto pubblico a livello nazionale e internazionale non è richiesta alcuna rappresentatività mentre per dare un mero parere sulla congruità delle misure di contenimento del disagio della popolazione si richiedono requisiti ben precisi e che, spesso, il sindacato che ha indetto lo sciopero non ha.

 

Credo di poter affermare che, al contrario, la maggior parte dei cittadini del nostro Paese condivida l'opinione che ci sia, e sia forte, la necessità e l'urgenza di introdurre seri parametri di valutazione della rappresentatività delle organizzazioni sindacali e non solo in termini generali ma anche rispetto alla singola azione di sciopero.

Questa rappresentatività, infatti, deve essere commisurata, non tanto alla percentuale di lavoratori del comparto iscritti e rappresentati, ma alla rilevanza del settore operativo che si decide di fermare con lo sciopero rispetto al complesso del servizio di trasporto che ne risulta bloccato ed ai disagi che impone ai cittadini.

Basti considerare l'esempio di un sindacato, che rappresenta anche il 100% dei vigili del fuoco, che, facendo scioperare qualche decina di vigili per una (anche seria) questione locale, blocca un intero aeroporto internazionale.

Questo, secondo me, non deve essere consentito, perché creerebbe un'inspiegabile sproporzione tra la rilevanza della vertenza, il peso sopportato dai lavoratori per l'azione di lotta e le conseguenze complessive in termini di disagi e danni economici per i cittadini, e questo anche se il sindacato che la promuove ha la piena rappresentatività dei lavoratori del suo settore.

 

Dicevo della strada che, in effetti, si è fatta nella legislazione di questi ultimi anni nel dare rilievo ai diritti alla mobilità dei cittadini.

Ma è, comunque, rimasto, nella regolamentazione, l'obiettivo prevalente di salvare e privilegiare i diritti dei lavoratori, anche a scapito di quelli degli utenti.

Infatti, all'articolo 13, la legge n. 83 del 2000 stabilisce che quando è la Commissione di garanzia a definire le prestazioni indispensabili, in carenza o inadeguatezza degli atti di autoregolamentazione:

… salvo casi particolari,…le prestazioni indispensabili… devono essere contenute in misura non eccedente mediamente il 50 per cento delle prestazioni normalmente erogate e riguardare quote strettamente necessarie di personale non superiori mediamente ad un terzo del personale normalmente utilizzato per la piena erogazione del servizio nel tempo interessato dallo sciopero, tenuto conto delle condizioni tecniche e della sicurezza.

 

Sarebbe secondo noi più giusto dire : fissate in misura pari al 50%, invece che: contenute in misura non eccedente mediamente il 50%     se si volesse essere veramente equanimi.

E si noti bene che questa percentuale del 50% è imposta non alle parti che propongono i servizi essenziali da garantire comunque ma solo alla Commissione di garanzia che interviene in via sussidiaria o di correzione.

Il legislatore, dunque, si preoccupa non di garantire un'equa misura dei servizi minimi essenziali ma la riuscita dello sciopero, in termini di servizi bloccati (ovvero disagi arrecati) e di lavoratori fermi!!

 

                La richiesta delle associazioni dei consumatori al 'Tavolo delle regole' era molto diversa perché era basata sul principio della parità di grado dei diritti dei lavoratori e degli utenti, con la conseguenza che il diritto di sciopero avrebbe dovuto misurarsi a rango pari con il diritto alla mobilità dei cittadini.

Questa parità dovrebbe tradursi, in caso di sciopero, nel mantenimento di almeno il 50% del servizio complessivamente inteso e non nel mantenimento di almeno il 50% del disagio dei cittadini , come, di fatto, si vuole garantire che avvenga.

 

Utenti : controparte dello sciopero ma non parte sociale

 

E qui devo riaprire l'altro tema centrale della questione, tema trito e ritrito ma mai affrontato seriamente, e che rappresenta una patologia cronica del ricorso allo strumento dello sciopero nei servizi pubblici.

Il tema è quello della 'dislocazione della controparte sociale': all'antagonismo fisiologico con l'impresa si è sostituito l'antagonismo con l'utente del servizio, con la conseguenza che il potere di offesa degli scioperanti si è moltiplicato facendo leva non sulla propria forza, non sulla riappropriazione del valore del lavoro, sottratto, con l'astensione dal lavoro, agli interessi economici del datore di lavoro, ma su una forza altrui, quella della collettività arrabbiata e vilipesa, estranea alla vertenza e presa in ostaggio.

In verità, le vertenze rimangono sempre tra le parti tradizionali: da una parte i lavoratori, dall'altra il datore di lavoro, l'azienda pubblica, lo Stato. L'accordo lo firmeranno, prima o poi, loro, non certo le rappresentanze degli utenti.

Ciononostante, lo sciopero sceglie di colpire, con piena consapevolezza, sempre meno il datore di lavoro pubblico e sempre più gli utenti del servizio. E attraverso la pressione esercitata dalla protesta per il danno subito dagli utenti si cerca di ottenere che il datore di lavoro sia 'politicamente' indotto a cedere. Il gioco riesce meglio in prossimità di scadenze politiche o elettorali, e più il danno è grave e clamorosa è l'ingiustizia, più la ' dislocazione ' risulta efficace.

I media fiancheggiano spesso questa strategia, più o meno consapevolmente, dando molto più risalto alla protesta degli utenti che alle responsabilità nella conduzione spregiudicata delle vertenze. Sembrano dare voce ai deboli ma invece li condannano vieppiù al ruolo di efficienti ostaggi.

Si aggiunga a queste considerazioni la sproporzione tra il danno grave recato alla collettività degli utenti e il sacrificio minimo affrontato dalle parti: il blocco dei trasporti che paralizza il Paese può essere provocato da un ristretto gruppo di lavoratori (fenomeno sempre più favorito dall'automazione) ed il danno economico arrecato dal blocco stesso all'azienda pubblica, se c'è, viene ripianato comunque dal contribuente-Stato a fine anno.

Quando le vertenze durano a lungo e gli scioperi si susseguono, questa collettività indifesa non è nemmeno posta in grado di capire da quale delle parti è stata presa in ostaggio, perché l'informazione che perviene al cittadino è tutta distorta da propaganda e faziosità.

 

Al 'Tavolo delle regole' le associazioni dei consumatori chiesero di poter svolgere un ruolo nella composizione delle vertenze, partendo proprio dalla considerazione che gli utenti, anche se trascinati 'obtorto collo' nella vertenza, comunque ne erano parte perché ne subivano il danno più pesante, sicuramente più grave di quello subito dal datore di lavoro.

Se non proprio attraverso il riconoscimento di una posizione di vera e propria parte sociale, le associazioni rivendicarono la capacità di svolgere un ruolo utile, partecipando, almeno in veste di osservatori, alle procedure di raffreddamento delle vertenze, per rappresentare, con la propria terzietà, un elemento di trasparenza delle motivazioni reali del conflitto e di informazione indipendente dell'opinione pubblica sul comportamento delle parti.

Questa partecipazione attenta e capace di dare all'opinione pubblica un'informazione indipendente e credibile, avrebbe potuto favorire l'abbandono di posizioni pretestuose o dilatorie e dissuadere le parti dal tenere comportamenti di colpevole pervicacia in pretese strumentali. Ma questa opportunità non è stata colta dal legislatore anche perché da parte datoriale fu rappresentata la preoccupazione che un'eccessiva regolamentazione delle procedure di raffreddamento potesse ostacolare 'la libertà della dialettica contrattuale'. Facendo finta di non capire che, finora, questa 'preziosa' libertà l'hanno pagata molto cara gli utenti e i contribuenti e che gli utenti continuano ad essere in balia di vicende altrui, di cui non sanno nulla, senza poter nemmeno capire fino in fondo se sono ostaggi del sindacato o del datore.

 

La liberalizzazione del trasporto potrebbe 'scarcerare' l'utente. Se liberalizzazione vera ci fosse! Ma non tutto è perduto: si riduce la passività dell'utente.

 

                La riflessione condotta in questi giorni sul processo di liberalizzazione potrebbe toccare in modo decisivo anche i temi che sono stati fin qui accennati e potrebbe autorizzare la speranza di un quadro nuovo nel quale si ricomponga la fisiologia delle relazioni industriali rendendo di nuovo interessante attaccare gli interessi economici del datore di lavoro (non più pubblico) invece che quelli politici.

Ciò restituirebbe agli utenti la loro 'libertà' e restituirebbe spazio al diritto alla mobilità.

Se infatti è vero che, in questi anni, nelle imprese pubbliche di trasporto l'interesse primo e vero del datore di lavoro è stato la conservazione del 'consenso politico' grazie al quale gli amministratori pubblici erano diventati tali e che, pertanto, contro quel consenso sono state attivate le azioni di sciopero, allora questo meccanismo dovrebbe cambiare quando i referenti dei dirigenti delle aziende di trasporto saranno gli azionisti.

 Se è vero che i responsabili delle relazioni industriali delle aziende pubbliche erano sostanzialmente insensibili al danno economico recato all'azienda dallo sciopero o, addirittura, l'astensione dal lavoro degli scioperanti si tramutava in minori perdite di esercizio per aziende che operavano perennemente in deficit, allora questo meccanismo dovrebbe cambiare nelle aziende privatizzate ed esposte alla concorrenza ed al mercato.

Dunque, questa nuova sensibilità alla economicità della gestione dovrebbe spingere il sindacato ad attaccare la sua controparte vera ed a farlo sul terreno di questo nuovo interesse per il profitto dell'impresa.

Inoltre, la ricerca della conservazione per il posto di lavoro spinge anche i lavoratori a guardare con interesse alla soddisfazione e fidelizzazione del cliente, che garantisce continuità e certezza dell'occupazione. Ed è minore la necessità di condurre per le lunghe le vertenze per il solo fine di esasperare la gente e alzare il clamore strumentale dei media sui disagi.

Forse, finalmente, si passerebbe a studiare forme di sciopero virtuale o alternativo che non coinvolgano l'utenza.

Tutto questo, insomma, spingerebbe per ricondurre l'antagonismo nel suo alveo naturale e per sottrarre l'utente dal suo ruolo improprio di ostaggio di questa e/o di quella parte sociale.

 

Speranze!

 

Nei 'se' e nei condizionali che pullulano nelle affermazioni che precedono c'è tutta l'incertezza e, direi, delusione per quello sta accadendo in questi mesi sul terreno della liberalizzazione dei servizi ferroviari.

Che il trasporto locale passi dal controllo centrale a quello regionale non sposta per nulla la situazione dell'utente.

Sulla lunga percorrenza l'azionista continua ad essere un soggetto pubblico.

Lo scorporo di segmenti e di servizi particolari, per come prospettato, non autorizza nessuna delle speranze sopra indicate. Qualcosa si realizzerà, forse, nel settore merci, ma nulla di concretamente nuovo è oggi possibile intravedere almeno nel settore passeggeri.

E non solo in Italia.

Il tutto senza che la liberalizzazione del settore sia accompagnata dalla costituzione di un'Autorità INDIPENDENTE di regolazione, cosa che si è già verificata in altri settori (carburanti, assicurazioni, etc) con risultati tremendi per gli utenti.

Procedere alla liberalizzazione delle ferrovie, senza prevedere un regolatore veramente indipendante (ed il Ministero non lo è) è sicuramente un errore:

1)       fino a quando ci sono imprese che godono di posizioni dominanti, e che ne possono abusare

2)       quando c'è da tutelare l'utente, impreparato a valutare la nuova situazione in tutti gli aspetti collaterali alla prestazione principale, sulla maggior parte dei quali non è in possesso delle informazioni necessarie per fare scelte di acquisto e di tutela consapevoli ( ad esempio le condizioni di tutela e di garanzia quando viene meno, anche per sciopero, la prestazione primaria, oppure per la perdita di un bagaglio o per guasti, etc).

 

 Cosa volete che importi all'amministratore dell'azienda (tuttora sostanzialmente pubblica) dei disagi degli utenti, impegnato come è a ripartire i 15.000 miliardi di investimenti del contratto di programma nei prossimi 5 anni?

E nella Finanziaria 2001 il contribuente è chiamato a garantire ai conti delle FS altri 7000 miliardi. Già tutto deciso, finanziato e ripartito tra le varie destinazioni, a prescindere dal gradimento dell'utente per i servizi resi e la qualità offerta.

 

C'è un solo dato che fa ritenere che il diritto alla mobilità non abbia perso ancora la sua guerra: la sempre maggiore consapevolezza da parte dei cittadini dei loro diritti e la sempre maggiore capacità e volontà di esercitarli. Inoltre, è sempre di più la gente che usa i mezzi di trasporto con continuità anche all'estero e che misura quotidianamente la qualità dei servizi, rapportandola ai prezzi che paga.

Per chi ascolta quotidianamente e professionalmente gli utenti ed i consumatori è chiaro che, dopo casi come quello del pollo alla diossina, della mucca pazza, della pubblicità e delle offerte contrattuali ingannevoli nelle telecomunicazioni e, per venire nel campo dei trasporti, degli incidenti del Pendolino e del tracollo di Malpensa, nessun consumatore è più quello di prima. La gente ha capito che deve informarsi meglio, capire di più le ragioni di quello che le succede, attivarsi e partecipare per l'individuazione delle responsabilità di quello che giudica ingiusto. Sa cosa le spetta e cosa non deve tollerare.

L'opinione pubblica è sempre più articolata, attrezzata culturalmente e non può più essere facilmente strumentalizzata, tantomeno nei conflitti sindacali attivati da minoranze corporative e arroganti.

Insomma, il gioco riuscito nell'ultimo ventennio può cominciare a diventare un boomerang e ridurre i sindacati troppo spregiudicati nell'usare la leva dell'esasperazione popolare in spazi di isolamento e di dissenso. Questo farà, per gli utenti, molto di più di quanto non possa fare una liberalizzazione opaca e blanda, per non dire illusoria, di facciata e, soprattutto, non regolata come quella che si prospetta.

DOCUMENTI ALLEGATI:

nessun documento allegato.

Sede: via della stazione di San Pietro, 57 - 00165 Roma
Tel./fax 0039 06 6380336
contattaci
Direttore resp.: Carli
Comitato redaz.: Aprile, Battelli, Brancaleoni, Cinotti
Sito realizzato da Deblin --- software D-Edit 1.0