L’OBBLIGO D’INFORMAZIONE PREVENTIVA
1. CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE: IL DIRITTO AL’INFORMAZIONE (LA CONOSCENZA) COME PRESUPPOSTO DELL'AUTONOMIA CONTRATTUALE.
di Ettore Battelli
In un sistema politico democratico basato sulla libertà, il potere di operare delle scelte autonome è un valore ineliminabile. Tale potere in campo economico è riconosciuto dall'ordinamento a ciascun individuo attraverso l'autonomia contrattuale. Il contratto stesso è definito come un accordo, vale a dire consenso reciproco di due o più parti intorno ad un regolamento da esse stesse predisposto.
E' evidente, in un'impostazione siffatta il ruolo che spetta alla conoscenza. Quest'ultima è rilevante in due sensi: a) senza conoscenza del contenuto di un accordo non può esservi vero e proprio consenso; b)senza conoscenza dei propri bisogni il contratto non può svolgere il ruolo fondamentale che l'ordinamento gli attribuisce: la realizzazione di questi bisogni. L'informazione fra le parti quindi costituisce un mezzo, spesso necessario per realizzare la conoscenza in entrambi i sensi indicati. Ciò avviene in tutti i casi in cui vi sia disparità informativa tra le parti, sia sul contenuto dell'accordo, sia sulla capacità di questo di realizzare i risultati che, attraverso il ricorso alla contrattazione ci si attende.
Il codice civile ha raramente previsto obblighi specifici e tipici d'informazione tra le parti contrattuali sia durante l'esecuzione, sia durante le trattative. La dottrina più attenta, conscia del valore di una corretta informazione tra le parti e della conoscenza del contenuto del negozio, ha affermato, già da tempo, l'esistenza di un obbligo d'informazione. Tale obbligo troverebbe la sua base normativa fondamentalmente negli articoli 1337 e 1375 c.c. i quali però si limitano genericamente a prevedere che le parti, nelle trattative, nella formazione e nell'esecuzione del contratto debbano comportarsi secondo buona fede.
Il problema dell’informazione preventiva assume un rilievo fondamentale nella fase preparatoria del contratto nel diritto civile europeo, essendo la letteratura giuridica unanime nel ritenere che le controversie, che insorgono tra consumatore e professionista, non sono altro che il riflesso di un fallimento del mercato dovuto all’asimmetria informativa che si configura altresì come distorsione della concorrenza nel mercato.
Lo scambio d’informazioni tra i soggetti dello scambio sembra adempiere da un lato al generale obbligo d’informazione reciproca sugli aspetti di rilievo della contrattazione, che grava sulle parti nella fase precontrattuale e che è espressione di quell’obbligo di buona fede, oggettivamente intesa come condotta corretta e leale, di cui all’art. 1337 c.c., dall’altro appare finalizzato a consentire alla soggetto 'contraente debole' (meglio sarebbe 'debolmente informato') un ripensamento dell’affare, dopo la conclusione del contratto ma prima dell’esecuzione dello scambio.
La problematica degli obblighi delle parti, specialmente nella fase precontrattuale non può non tenere conto della circostanza, unanimemente condivisa, che, al momento dell’instaurazione del rapporto, consumatore e professionista si trovano in una situazione di squilibrio informativo. Infatti, mentre il secondo è dotato di ogni competenza in ordine all’opportunità tecnica ed alla maggiore o minore convenienza economica dell’affare, il primo è, invece, più esposto a difetti di valutazione ed alle tecniche di contrattazione aggressiva del secondo. In pratica, mentre il professionista è in grado di prevedere con buona approssimazione il risultato economico che andrà ad ottenere con l’accordo, il consumatore può entrare nella rete distributiva alimentato da facili e superficiali ottimismi.
Premesso che l’asimmetria informativa è prevista dall’ordinamento europeo a fini di correzione del mercato, a tale scopo, il legislatore comunitario ha approntato, nella varie direttive emanate che la prendono in considerazione, strumenti sanzionatori preventivi.
E’ preferibile parlare di informativa preventiva e non precontrattuale, perché l’obbligo d’informare non si pone sempre in un momento antecedente al contratto ma anche successivamente alla sua conclusione. A ben considerare l’informazione è preventiva non solo alla conclusione dei tipi contrattuali ma anche alle singole operazioni economiche (scambio materiale); infatti le informazioni successive alla conclusione del contratto sono comunque precedenti alla concreta realizzazione economica dell’operazione, ovvero anche semplicemente preventiva dell’esecuzione. Proprio perché, come vedremo, l’informazione preventiva comprende anche quei casi in cui le informazioni sono fornite post-contractum ma in un momento comunque precedente l’operazione economica, pare corretto ritenere l’informazione contrattuale come semplicemente un caso di informazione preventiva.
2. PUBBLICITÀ ED INFORMAZIONE PREVENTIVA. L’ONERE D’INFORMAZIONE.
Profilo interessante nella disciplina dei contratti con i consumatori è costituito dall'attenzione del legislatore a tutto il flusso di informazioni che può arrivare direttamente o indirettamente al pubblico o al singolo utente, aderente o risparmiatore, riguardante circostanze che possano avere un peso nella conclusione del contratto. La stipulazione di un negozio giuridico spesso costituisce il momento finale di un iter formativo, che si svolge attraverso un flusso di informazioni tra le parti, non necessariamente regolato da una trattativa vera e propria, e che raramente le vede impegnate direttamente .
Da queste considerazioni, evidentemente, scaturisce l'attenzione del legislatore, nel regolare i contratti con i consumatori, per tutte le comunicazioni, ad ogni livello emesse, che si svolgano proprio fra consumatore, da una parte, e imprese, intermediari, professionisti, negozianti dall'altra. Si può dire che la tutela del consumatore prenda proprio questa strada peculiare, costituita dalla protezione nei suoi riguardi fin da un momento sempre di più anticipato, rispetto alla stipulazione del contratto. L'attenzione va riposta su tutte le informazioni e le comunicazioni, che, per quanto indirettamente fornite, possono influenzare il consumatore e contribuire alla formazione delle proprie scelte contrattuali.
La prima considerazione del ruolo dell'informazione riguarda perciò la fase precontrattuale, per la quale si può notare come il legislatore abbia predisposto, in funzione di tutela del contraente debole una normazione più complessa e attenta di quanto il codice civile faccia per la generalità dei contratti.
Una serie di provvedimenti, infatti, di derivazione comunitaria, riconducibili all’ambito del diritto privato europeo, sottolineano come destinatario la figura del consumatore, dell'investitore, del cliente della banca, semplicemente in quanto essi siano potenziali contraenti. In effetti emerge che la legge accorda protezione al consumatore inteso in senso generico, ovvero come cittadino qualunque, fruitore di beni e servizi, che anche casualmente può entrare in contatto con l'imprenditore.
Più correttamente, quindi, possono essere distinti due ambiti di protezione, corrispondenti a due fasi temporali che si inseriscono nell'iter formativo del contratto: da una parte, una tutela offerta indistintamente a tutti coloro che vengano in contatto con l'imprenditore, e che sono perciò potenziali parti contrattuali: ovvero consumatori, risparmiatori o clienti, in una fase precontrattuale 'generica'; dall'altra, una protezione rivolta esclusivamente ai singoli soggetti consumatori che siano entrati in contatto con un imprenditore determinato, in una fase precontrattuale 'specifica'.
Per quanto riguarda, in primo luogo, la fase precontrattuale cosiddetta 'generica', si può dire che proprio il flusso di comunicazioni dall'imprenditore o dal professionista ai consumatori potenziali non individualmente determinabili costituisca proprio l'unica caratteristica di questo momento, che è precedente non solo rispetto alla trattativa, ma anche ad un qualunque contatto tra le future possibili parti del contratto. Tale momento è non di meno importante perché, questo è il punto da sottolineare, può determinare la decisione di iniziare una trattativa, oppure di concludere un contratto, o quanto meno generare una aspettativa rispetto al contenuto del futuro negozio.
Questo flusso informativo si svolge in gran parte attraverso il mezzo pubblicitario, che generalmente costituisce l'unica forma di comunicazione prima della stipulazione del contratto. Nella contrattazione di massa la pubblicità quindi può assumere un ruolo determinante nell'iter formativo di un negozio, anche se il suo compito è diverso da quello svolto dalla trattativa, intesa come scambio di informazioni al fine di determinare il contenuto del contratto. Nella maggior parte delle ipotesi, l'utilizzo del mezzo pubblicitario si inserisce nell'ambito della contrattazione di massa, la quale fa ampiamente uso di contratti standard. In tale contesto la comunicazione pubblicitaria mira a sostituirsi alla trattativa fra soggetti determinati. Realizzano tale funzione di tutela del potenziale-contraente-consumatore, proprio perché indirizzata ad un numero indeterminato di potenziali destinatari, il D.Lgs 25/1/92 n.74, che disciplina la pubblicità ingannevole, il D.Lgs. 27/1/92 n. 109, concernente le norme su etichettatura, pubblicità e presentazione dei prodotti alimentari, il D.Lgs. 17.3.95 n. 115, relativo alla sicurezza generale dei prodotti, il D.Lg. 1.9.93, n.385, T.U. in materia bancaria e creditizia, il D.Lgs.24.2.98 n. 56, T.U. in materia di intermediazione finanziaria, il D.Lgs. 17.3.95 n.111, sulla vendita dei pacchetti viaggio, il D.Lgs.9.11.98 n.427, riguardante il diritto di godimento a tempo parziale su immobili.
Tutte queste normative disciplinano, in maniera più o meno intensa a seconda dei casi, il flusso informativo, o attraverso la regolamentazione del fenomeno pubblicitario oppure attraverso la vera e propria imposizione di obblighi informativi.
La pubblicità è quindi il primo momento in cui il professionista potenzialmente mette delle informazioni a disposizione del 'pubblico' (intendendosi con tale formula 'la generalità dei consumatori').
L’art.1 della legge 1992 n.74 (applicazione della Dir. CEE n.450 del 1984) che espressamente la disciplina si configura non solo come norma di protezione della generalità dei cittadini (potenziali utenti-consumatori) ma anche come norma di direzione. La pubblicità, a ben vedere, si pone, però, non come obbligo di informazione del professionista, ma, più esattamente, come 'onere' d’informazione; infatti, in realtà, con la pubblicità, non essendo ancora avvenuto alcun contatto tra le parti, non siamo entrati neanche in una fase precontrattuale. La pubblicità si configura, infatti, solamente come promozione delle possibili operazioni di scambio, e in quanto tale si deve (secondo quanto prescritto dalla normativa sopra citata) presentare come riconoscibile (ovvero trasparente), veritiera e corretta (cioè portatrice di pensieri non solo corrispondenti ad elementi reali ma anche forniti con modalità rispettose degli interessi del pubblico). Peraltro, esaminando anche i successivi art.2 e art.4 si evince come beneficiario di tale 'onere d’informazione' è non solo il 'professionista' ma anche il pubblico genericamente inteso.
Tuttavia, anche se scopo della disciplina sulla pubblicità è principalmente la tutela dell’ordine pubblico di direzione a difesa quindi della libertà di scelta del consumatore che si indirizza al mercato per soddisfare i suoi bisogni; va considerato che, purtroppo, le forme di pubblicità attualmente più usate sono finalizzate non tanto a informare il consumatore sulle qualità del prodotto, quanto piuttosto a evocare in lui suggestioni favorevoli. Pertanto, è bene ricordare che le informazioni più veritiere e approfondite necessarie per valutare l'acquisto di un prodotto si possono ricavare non tanto dal messaggio pubblicitario, quanto piuttosto, ad esempio, dalla lettura dell'etichetta o di un opuscolo o nota o altro tipo di documento informativo.
Tuttavia mentre l'informazione imposta dal dovere di correttezza o di trasparenza oggetto dell’onere d’informazione ha come scopo la protezione del consumatore o più in generale della controparte, è cioè un'informazione coniata nella prospettiva dell'informato (received oriented); al contrario, quella contenuta nella pubblicità, per corretta che sia, è realizzata nella prospettiva di colui che emette il messaggio (message oriented) . La pubblicità, quale informazione orientata, non può che sottolineare gli aspetti positivi dei requisiti dei prodotti. Questa considerazione è ovvia se si considera che lo scopo del messaggio pubblicitario è esclusivamente la promozione. Infatti, quando la legge fa riferimento all'obbligo di pubblicità, intende indicare ipotesi di obblighi di informazione veri e propri. Un esempio di questo tipo lo si ritrova nel d.Lg. 1.9.1993 n.385 T.U in materia bancaria e creditizia, che, prevedendo obblighi di pubblicità, fa riferimento a comunicazioni a favore dei destinatari, emesse ad un pubblico di potenziali clienti e perciò al di fuori sia di rapporti contrattuali sia di una fase precontrattuale specifica, anche se sempre e comunque realizzate in prospettiva di un futuro contatto e di potenziali stipulazioni contrattuali.
Queste premesse sembrano allontanare la pubblicità e le considerazioni su di essa dal ruolo degli obblighi informativi. In realtà, se è vero che la prima ha uno scopo essenzialmente persuasivo, nulla esclude che tale persuasione possa realizzarsi proprio tramite la trasmissione di informazioni che volontariamente vengono veicolate da chi emette il messaggio a chi lo riceve. Nel momento in cui ciò avviene, il d.lgs. 25.1.92 n.74, che disciplina la pubblicità ingannevole, stabilisce che le informazioni devono corrispondere al vero. In quest'ambito, quindi, la legge non può imporre di emettere il messaggio pubblicitario (al limite potrà imporre una comunicazione nella fase precontrattuale generica, chiamandola pubblicità), ma può imporre il contenuto di essa, o stabilendo puntualmente quali comunicazioni debbano integrare il messaggio (come per esempio accade per i prodotti pericolosi e nella disciplina del credito al consumo del d.lgs. 1.9.1993 n.385 T.U che impone comunque la menzione del Taeg). Se anche la scelta di utilizzare la pubblicità sia libera, non lo è del tutto il contenuto di essa, che è sottoposto a vincoli. Questi, se pure individuati in negativo, costituiscono obblighi di informazione in quanto determinano il contenuto informativo del messaggio pubblicitario, affinché non risulti ingannevole.
Riguardo informazioni necessarie proprie dell’onere d’informazione pubblicitario si potrebbe dire che anche nell'ipotesi di pubblicità con contenuto informativo sussistano obblighi di informazione in capo agli emittenti del messaggio pubblicitario. Tali obblighi non sussistono indipendentemente dal messaggio pubblicitario, ma soltanto in occasione della sua emissione. Non hanno nemmeno un contenuto predefinito, ma comportano la comunicazione di tutto quanto sia necessario alla corretta presentazione del servizio o del prodotto pubblicizzato. Premesso che la giurisprudenza ha normalmente giudicato l'ingannevolezza dei messaggi pubblicitari basandosi sul parametro del consumatore medio; un ultimo elemento da considerare, rilevante per la nostra trattazione, è che la pubblicità è ritenuta decettiva, solo se a causa del suo carattere ingannevole possa pregiudicare il comportamento economico dei consumatori (art.2 d.lgs. 25.1.1992 n.74).