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Ludovico Antonio Muratori [1]

Antichità italiane

Dissertazioni

 

DISSERTAZIONE IX

Dei Messi Regali o sia de’ Giudici straordinarj.

 

Non bastò ai Regnanti di que’ secoli che noi chiamiamo barbarici, per mantenere la giustizia fra i lor popoli, l’avere i Conti del Palazzo, i Duci, Marchesi, Conti, ed altri inferiori Giudici, destinati a questo importante impiego. Non bastò l’intervenire sovente anche gli stessi Re ed Imperadori (siccome mostreremo alla Dissertazione XXXI) ai placiti in compagnia di essi Giudici. Pensarono essi ancora a deputar Giudici straordinarj, o presi dalla corte, o scelti nelle provincie, i quali provveduti di un’ampia autorità scorressero per tutto il regno per conoscere se era fatta giustizia, o se alcuno si dolesse di non averla ottenuta, e con facoltà di correggere tutti i difetti ed eccessi degli stessi Conti, è d’ogni altro ministro della giustizia. Si chiamavano questi tali Missi Regii, Missi discurrentes, Missi Dominici, Regii Legati, per tacere altri nomi. Istitutore d’essi. nella Francia sembra essere stato l’insigne re ed Imperadore Carlo Magno, principe di gran mente e di buon cuore, che tanti altri riti e nuove leggi formò tutte commendabili ed utili ai popoli suoi, e ch’egli introducesse quest’uso anche all’Italia. Veramente, siccome vedremo alla Dissertazione LXXIV, anche nell’anno 715, regnante il re Liutprando, tenuto fu un placito o sia giudizio in Toscana, dove quattro vescovi una cum Misso Excellentissimi Domni Liutprandi Regis, nomine Gumeriano notario, fu dibattuta una controversia fra i vescovi di Arezzo e di Siena. Ma quel Messo non pare che abbia che fare con quelli de’ quali siam per parlare, perché egli era delegato solamente per quella causa, e non per tutte le giustizie: laddove gl’instituti da Carlo M. aveano facoltà per ogni controversia criminale e civile. Conosceva quel saggio Monarca, a quanti incomodi, a quante male arti fosse sottoposto il governo de’ popoli. Ancorché mai non manchino giudici dotti e timorati di Dio, pure ve n’ha sempre alcuno di tempra diversa, che non si fanno scrupolo di vendere la giustizia, che son tratti fuori di strada dalle predilezioni, dagli odj e da altre passioni. Si mirano anche talvolta le cause de’ poveri, delle vedove e dei pupilli in malo stato, ed oppressi i men potenti dai più potenti. Forse anche più s’incontrava questo disordine a’ tempi di Carlo M. Il perché determinò egli che di tanto in tanto alcuni de’ più savj e dabbene si portassero per le provincie, a fin di cercare se v’erano sconcerti nella giustizia, e colla lor prudenza ed autorità vi rimediassero. Qualche uso di questo salutevol rimedio talvolta si truova presso gli antichi Romani, e lo vediam tuttavia in certa guisa osservato dalla prudentissima Repubblica di Venezia con gran vantaggio de’ sudditi suoi.

Portavano dunque seco gli antichi Messi, o vogliam dire Giudici straordinarj, un’autorità superiore a quella dei Duchi, Marchesi e Conti; e perciocché essendosi sul principio conceduto quest’impiego a’ Vassi o sia cortigiani, che pativano il male della povertà, si trovò che talora medici tali attendevano più al guadagno proprio, che alla cura de’ pubblici mali; il saggio Imperadore cominciò a valersi per questa funzione di personaggi maggiori di ogni eccezione e non bisognosi di succiare l’altrui sangue. All’anno 802 negli Annali Lambeciani si legge di esso Augusto: Recordatus misericordiae sua de pauperibus qui in Regno suo erant, et justitias suas pleniter habere non poterant, noluit de infra Palatio pauperiores Vassos suos transmittere ad justitias faciendum propter munera; sed elegit in Regno suo Archiepiscopos et reliquos Episcopos et Abbates, cum Ducibus et Comitibus, qui jam opus non habebant super innocentes munera accipere; et ipsos misit per universum Regnum suum, ut ecclesiis, viduis et orphanis et pauperibus, et cuncto populo justitiam facerent. L’autorità di essi era ordinariamente ristretta ad una o pure a più provincie, e questa si appellava Missaticum. Colà giunti che erano, spiegavano le lor patenti, ed invitavano chiunque ne avesse bisogno a ricorrere al loro tribunale per ottener giustizia, intitolandosi Missi ad singulorum hominum justitias faciendas et deliberandas. In un placito dell’anno 1000 tenuto nel territorio di Lodi, si vede che Benzone Messo di Ottone III Augusto fa leggere prima la sua patente, che soleva chiamarsi Tractoria. E perciocché ministri tali non si fermavano ordinariamente nelle città, ma scorrevano pel paese, tenendo giudizio, dovunque occorreva, perciò furono appellati Missi discurrentes. Conservasi nel Monastero Ambrosiano un placito tenuto in Milano nell’anno 918, il cui principio è questo: Dum in Dei nomine, civitate Mediolani, Curte Ducati, in laubia ejusdem Curtis, in judicio resideret Berengarius Nepus et Missus Domini et gloriosissimi Berengarii Serenissimi Imperatoris, Avio et Senior ejus, qui in Comitatu Mediolanense ab ipso Imperatore esset constitutus tamquam comes et Missus discurrens, ec., eciam Epistola sigillata ab anulo idem Domni Imperatoris hic in ipso Judicio ostensa fuit et relecta, in qua continebatur, ut Berengarius Nepus idem Domni Imperatoris Missus esset constitutus, ec. Truovasi qui Curte Ducati, nome che sembra durar tuttavia nel luogo appellato il Corduso in mezzo alla città di Milano, formato dall’abbreviato di Cortis Ducis. Quel Berengario che qui nomato viene nipote di Berengario I Augusto, quel medesimo è che dopo Ugo e Lottario fu poi re d’Italia. Adalberto marchese d’Ivrea suo padre avea, per attestato di Liutprando, in moglie Gisla figlia dell’Imperador suddetto. Non intervenne a quel placito il Conte di Milano, forse perché malato o lontano, ma bensì vi fu presente: Rotgerius Vicecomes ejusdem Mediolanensis civitatis. Per altro, allorché i Messi teneano giudizio, anche i Conti o per onore o per necessità vi doveano assistere. In un placito tenuto in Padova dai Messi di Arrigo IV re si truovano ancora Domus Oldericus Episcopus et Albertus Comes hujus Civitatis Pataviensis. Alle volte né pure i Messi Regii poteano terminare una causa, e questa veniva portata all’udienza dello stesso Re od Imperadore, che non si esentava dall’udirla e deciderla: del che abbiamo la testimonianza in un diploma di Lottario I Augusto dell’anno 833, dove lo stesso Augusto dà la sentenza in favore del Monistero Veronese di San Zenone contra Garardo conte, non so se di Verona o di Mantova. Questo documento, in cui è fatta menzione di Rataldo vescovo di Verona, serve a correggere alcuni sbagli dell’Ughelli nella serie de’ Vescovi di quella città. Era la lite per la Selva Ostiglia terra oggidì del Mantovano, ma spettante allora al Contado di Verona. Parte di essa selva apparteneva al Monistero Nonantolano, pervenuta ad esso per eredità del conte Anselmo; e que’ Monaci pretendevano ingiustamente tolta loro quella porzione dal Conte di Verona, Hucpoldus Comis ipsius civitatis egli è nominato. Ora si tenne un placito nell’anno 820 presso il fiume Mincio, dove Rataldus Episcopus Misso Domni Imperatoris ad singulorum hominum deliverandas intentiones, fece la prima figura, e seco sedevano Andreas Episcopus Vicentinus (ommesso dall’Ughelli nell’Italia Sacra), et ipse Hucpoldus Comis, Sevodo Comis de Mantua, ec. Furono in quel litigio vincitori i Monaci Nonantolani.

Avvegnaché tanta fosse l’autorità dei Messi Regali, pure tenendo essi giudizio fuori del regio palazzo, e in casa altrui, come sovente accadeva, erano tenuti a chieder licenza dal padrone della medesima per poter quivi alzar tribunale; e questa licenza si esprimeva nella sentenza, affinché in avvenire non fosse quell’edifizio tenuto per luogo pubblico. Lo stesso praticavano ancora i Marchesi e Conti. Presi dall’archivio di S. Salvatore di Pavia un placito dell’anno 945, il cui principio è tale: Dum in Dei nomine, in civitate Regio, infra claustra et domum Sanctae Mariae Mater Ecclesiae, et Episcopio istius Regiensis, in Sala que est in latere ipsius Ecclesie, et in laubia (loggia) que est ante Caminata Dormitorii ipsius Sale, in judicio resideret Ildoinus Vassus Donni Aribaldi Episcopi ipsius Sedis, per data licentia, et Missus Domni Ugonis gloriosissimi Regis, ex hac causa ab eo constitutus. Così in un altro placito Veronese dell’anno 1023 leggiamo: Dum in Dei nomine, civitate Verona domo Episcopii Sancte Sedis Veronensis Ecclesie, in laubia majore, que estat super flumen Athesi, per data licentia Domni Johanni Episcopi ipsius Sancte Veronensis Ecclesiae, in judicio resideret Domnus Tado Comes istius Comitatus Veronensis ad justitias faciendas ac deliberandas, ec. Bisognava anche far tale dichiarazione, ancorché si tenesse il giudizio in casa di private persone, siccome apparisce da un documento dell’Archivio Ambrosiano spettante all’anno 1035, dove abbiamo queste parole: Dum in Dei nomine, civitate Mediolani, in mansione Petri Negotiatoris, filii quondam Johanni, per ejus data licentia, in judicio adesset Arialdus Judex et Missus Domni Chunradi Imperatoris ex hac causa ab eo constitutus, ec. Aveano poi i Messi Regii facoltà di sotto delegare altri giudici per assistere ai placiti e decidere le controversie: come consta da un altro placito dell’archivio medesimo tenuto nell’anno 844, dove si legge: Dum in Dei nomine per admonicionem Domni Angelberti Archiepiscopo et Misso Domni Imperatoris.... cum resedisemus nos Johannes Comis, Gunzo Vicedomino in clausura Sancti Ambrosii foris civitate Mediolano, ec. Sceglievansi dunque, siccome dissi, a questo nobile impiego persone ricche e riguardevoli, nelle quali non cadesse sospetto di tradir la giustizia, come conti, vescovi ed abbati: il che si truova confermato dalla Cronica Moissiacense presso il Du-Chesne. E a questi Messi erano obbligate le provincie di somministrar cavalli ed alimenti secondo la tassa delle leggi, una delle quali è attribuita a Lodovico Pio Augusto. Conjectum si appellava questa contribuzione, ed ognuno pagava a rata del suo avere. Ma non la poteano esigere i Messi, qualora esercitavano il suddetto ufizio entro il suo Contado o Diocesi, aut prope suum Beneficium consistebant; e però solamente era loro dovuta se giudicavano lungi di là, come apparisce dalla legge LIV fra le Longobardiche di Lodovico Pio. Tuttavia tale era l’utile che ne proveniva ai popoli, che lieve dovea lor parere l’aggravio.

Pertanto si procurava di commettere sì fatto ministero a persone pie, dotte ed incorrotte. Nell’anno 858 i vescovi congregati in Carisiaco Palatio così scrivevano al re Lodovico nel cap. 14 della loro lettera: Missos etiam tales per Regnum constituite, qui sciant, qualiter Comites et ceteri Ministri justitiam et judicium populo faciant; qui sicut Comitibus praeponuntur, ita scientia, justitia ac veritate eis praeemineant. Sopra tutto poi s’incaricava a questi Giudici straordinarj e superiori ai Conti giudici ordinarj, ut Ecclesiarum Dei justitias, viduarum quoque et orphanorum, sed et ceterorum hominum inquirerent et perficerent; et quodcumque emendandum esset, emendare studerent, in quantum melius possent, et quod emendare per se nequivissent, in praesentia Imperatoris adduci facerent. Son queste parole di Frodoardo nel libro II, cap. 18 della Storia di Rems, coerenti alle usate da Lodovico II Augusto nel Capitolare di Pavia. Incumbenza loro eziandio fu il fare ristorare i Ponti pubblici, come s’ha dalla legge XXXVI di Lodovico Pio, e i Palazzi Regali per decente albergo degli Augusti, ogni volta che occorreva il bisogno. Era parimente ordinato loro di deporre i cattivi Scabini e i Giudici malvagi, con sostituirne de’ buoni. Che se taluno ricusava di eseguire il determinato da loro per giustizia, in casa di lui si fermavano, e dalle di lui facoltà prendevano il vitto. Saggiamente ancora ordinò Lodovico Pio nella legge L delle Longobarde, ut in illius Comitis ministerio, qui bene justitias factas habet, Missi nostri diutius non morentur; sed ibi moras faciant, ubi justitias vel minus vel negligenter factas invenerint. Similmente lor cura avea da essere che non corresse moneta falsa; che si punissero i ladri; che si provedesse alle nemicizie private; che si togliessero le gabelle ingiuste, e le consuetudini inique e i tributi istituiti di nuovo, ed altri simili aggravj indebiti del pubblico. E caso che non potessero rimediarvi, lo riferissero all’Imperadore, come abbiamo dalla legge XXXVI di Lodovico Pio Augusto. Intorno a che spezialmente è da vedere il poema di Ermoldo Nigello, scrittore di quei tempi, da me dato alla luce.

Né solamente doveano i Messi emendare le corruttele dei secolari, ma eziandio si ordinava loro di esaminar la condotta degli Ecclesiastici. Cioè se i vescovi ed abbati esercitavano a dovere il lor ministero, e se aggravavano in qualche maniera il loro gregge; se alcuno de’ sacri ministri dilapidasse i beni degli spedali, monisterj e chiese, o iniquamente li concedesse a livello. Se i canonici, spezialmente allora istituiti, osservassero esattamente la loro regola, e vivessero sotto il medesimo tetto con buoni costumi e concordia fraterna. Monasteria Monachorum et puellarum, et Senedochia circumeant. Si unde administrentur, debita obsequia habeant, et concorditer degant, inquirant. Quidquid inordinatum repererint, regulariter corrigant. Così ordinò Lodovico II Augusto nell’anno 855, come s’ha dal suo Capitolare da me pubblicato fra le Leggi Longobardiche. A questo fine uso fu degli Augusti Franzesi di deputar vescovi ed abbati, come più proprj per conoscere ciò che conveniva all’uno e l’altro clero e alle sacre vergini, per correggere qualunque abuso e disordine. E perciò Pippino re d’Italia nella legge XXI Longobardica dice di avere inviati per Messi unum Monachum, et alium Cappellanum infra Regnum nostrum, providendum vel inquirendum per Monasteria virorum ac puellarum, quomodo est eorum habitatio, aut conversatio eorum, et quomodo quodque Monasterium debeat habere unde vivere possit. Era perciò ordinato che anche il vescovo della città intervenisse coi Messi per procurar la correzione e il bene del clero e dei Monisterj. Ed ecco quai belli e saggi regolamenti pel pubblico bene avessero gli antichi Regnanti. Comunemente si crede che quei fossero tempi pieni di barbarie e di mali umori; ed alcuni de’ nostri Legisti chiamano asinine le leggi di allora. Potrà il lettore con tali notizie giudicar meglio dello stato de’ vecchi secoli.

Né vo’ lasciar di dire, anche anticamente avere usato alcuno de’ vescovi, duchi, marchesi e conti (che questi erano i principi di allora) di fare la lor sottoscrizione in lettere majuscole, per distinguersi dagli altri inferiori. In un placito Lucchese dell’anno 1055, che ha questo principio: Dum in Dei nomine, in Palatio Domini Imperatoris, qui est prope muris de civitate Lucae (perché, siccome si dirà a suo luogo, i popoli non volevano palazzo dell’Imperadore in città) in judicio resedisset Domnus Eberardus Episcopus, Missus Domni Imperatoris ad causas audiendas, ec. La sua sottoscrizione è questa, diversa da quella d’altri: EGO EBERARDUS EPS MISSUS IMPERATORIS SUBSCRIPSI. Né solamente gran signori venivano destinati per Messi, ma anche talvolta persone di minor conto, benché solamente per alcune determinate cause. Nell’archivio de’ Canonici di Cremona vidi un placito dell’anno 975 con questo principio: Dum in Dei nomine, civitate Papia in curte propria Adami qui et Amizo Judex, per data licentia, in judicio resideret Waltarius Judex et Missus Domni Imperatoris ad justitias faciendas ac deliberandas, ec. Altri simili esempli si truovano. Allorché poi tenevano i più riguardevoli Messi qualche placito, o sia pubblico giudizio, erano tenuti i Vescovi e Conti, purché legittimamente non fossero impediti, ad intervenirvi. Parimente a tenor delle leggi vi assistevano i Giudici e gli Scavini, oltre a molti testimonj, per onorar que’ Magnati. In un bellissimo giudizio o placito dell’anno 827, tenuto nella città di Torino, son da leggere queste parole: In Dei nomine. Notitia Judicati qualiter acta vel definita est causa, dum Boso Comes vel Misso Domni Imperatoris residisset infra civitate Taurinensis Curtis Ducati, in Placito publico ad singulorum hominum caussas audiendo vel deliberandum; ibidem cum eo aderant Claudius Episcopus Sanctae Taurinensis Ecclesiae (quel medesimo che si dichiarò contro le sacre Immagini) Ratperto Comes (o sia il governatore di Torino) Walfertus, ec., Judicibus Domni Imperatoris. Ansulfo, et Leo, Grauso, Scavinis Bosoni Comitis. Johanne, ec., Scavinis Taurinensis. Turengo, ec., Vassis eidem Ratperto Comitis. Ecco quanti intervenivano a que’ giudizj: tutto ben pensato, affinché non entrasse frode, non prevalessero le parzialità; giacché ad ognuno era permesso di dire il suo sentimento.

Fino a quanto durasse l’uso de’ Messi Regali se a me vien chiesto, dirò, parermi che nel secolo XI cominciarono ad essere rari i Messi deputati alla correzione dell’intiere provincie, sussistendo nondimeno i delegati per cause particolari. Sul principio ancora del secolo XIII noi li troviamo, e a poco a poco calando, svanirono infine a’ tempi di Federigo I Augusto per le guerre insorte fra lui e i popoli della Lombardia. Nell’anno 1038 si vede un placito tenuto in Lucca da Cadaloo Cancelliere Imperiale intus Curte Domni Bonifatii Marchio Dux, per data licentia Domni Imperatoris. E non dice per licenza del Marchese, perché in Lucca nello stesso tempo dimorava Corrado I imperadore, e a lui come supremo signore apparteneva l’alto dominio sopra tutti i beni de’ suoi vassalli. Quel Cadaloo il medesimo è che nell’anno 1061, divenuto antipapa, si vide poi abbattuto. Così nell’anno 1055 Domnus Guntherius Cancellarius et Missus Domni Imperatoris tenne un placito in Firenze; e fu un altro tenuto in Monselice nell’anno 1100 da Guarnieri, il quale è intitolato Missus Domni Imperatoris, atque Delegatus ab ipso Principe. Da lì innanzi si cominciò ad udire il nome di Vicarius Imperialis, o pure Imperialis Aulae Comes, ovvero 122 Legatus. Nell’anno 1163 Domnus Garferdonius Dei gratia Sancte Mantuanensis Ecclesie Episcopus, et Imperialis Aule Comes, decide nella sua sala una lite fra l’Abbate di San Zenone di Verona ed alcuni altri. Così nel medesimo anno in Palacio Mutinensi fu decisa una lite apud Domnum Hermannum Verdensem Episcopum, et Imperatoris Vicarium et Legatum. Nella stessa città di Modena nell’anno 1167 Domnus Girardus Rangonus Imperatorie Majestatis per Mutine Episcopatum et Comitatum Legatus, et Consules Mutine, danno licenza al Massaro della Cattedrale di San Geminiano di cavar marmi tanto nella città che fuori, per terminare il Duomo. Mutarono poi faccia gli affari siccome andremo vedendo.


[1] da: http://www.classicitaliani.it/muratori/dissert08.htm © 1996 - Biblioteca dei Classici Italiani

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